Rinnovarsi tornando indietro.
Anche se a molti potrà sembrare un grande ossimoro, non è così per Carmine Cervone, giovane artigiano che per intraprendere la professione di tipografo ha scelto di utilizzare dei macchinari del secolo scorso, pur non avendone il permesso.
Il lavoro, la passione, i sogni e le paure sono raccontate da Antonio Manco nel bel documentario "Resistenza Artigiana" girato nel quartiere napoletano di San Lorenzo.
Fin dai primi istanti, la macchina da presa segue a distanza il misterioso protagonista, fino a mostrare la tana di questo "moderno bandito", un fuorilegge innamorato alla follia di quei vecchi attrezzi che in molti gli consigliano di gettar via, ma che lui cura con l'affetto che si può rivolgere ad un anziano parente.
Pur costruendo il doc sui racconti dello stesso Cervone, il regista non scade nel banale e fin troppo televisivo tranello della "testa parlante", ma trasforma le parole in una voce fuori campo che accompagna le immagini di Linotype e presse in azione.
Le poche immagini di repertorio selezionate, vanno ad inserirsi in un montaggio molto "musicale" e ben cadenzato, e sulle note di un vecchio tango si ha come l'impressione che anche le macchine riescano a seguire il ritmo.
Una storia di sopravvivenza lavorativa, di chi ammette di "lavorare con regolarità ma in modo irregolare", di chi sa che ogni giorno potrebbe essere l'ultimo e proprio per questo non rinuncia ad un solo istante di quella rischiosa ma appagante avventura quotidiana.
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