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L'Intercity Festival celebra il cinema inglese

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Si rinnova, a Odeon Firenze, l'appuntamento cinematografico proposto dal festival teatrale Intercity, che quest'anno compie 25 anni. Per l'occasione, ad essere celebrato è il cinema inglese, con 6 titoli che ripercorrono la storia di una cinematografia che vanta eccellenze nel campo documentaristico - come testimoniano le linee tracciate da John Grierson e la vocazione al documentario del canale BBC - di una nazione che ha dato i natali a maestri come Chaplin e Hitchcock. Scrive a tale proposito di critico Gabriele Rizza, che in collaborazione con Fondazione Sistema Toscana cura la rassegna: “Autorevolezza e consapevolezza. Ma anche ragione e sentimento,orgoglio e pregiudizio e naturalmente gioventù, amore e rabbia. L’Union Jack garrisce sul cinema di Sua Maestà. Poco noto fuori, spesso incompreso e/o sottovalutato dagli stessi padroni di casa. L’invasione hollywoodiana, qui davvero sub specie coloniale stante la parità linguistica, non perdona. Autorevoli critici si chiedono se un cinema inglese esista davvero (George Perry all’inizio del suo “The Great British Picture Show”) e l’ineffabile Truffaut provocatoriamente osservava che un “cinema inglese” è una contraddizione in termini. Ma Chaplin e Hitchcock non erano inglesi? Solido di basi tecniche e produttive (gli Ealing Studios), socialmente utile e ribelle (il Free Cinema), documentario e didattico (le scuole di Grierson e Jennings) quando non esuberantemente visionario (Powell e Pressburger), sperimentale (Jarman) o tremendamente gotico (la Hammer), classico e paludato fin troppo, middle e working class lo stesso, strutturato e professionale come pochi nell’intreccio fra committenza pubblica (Bfi) e nuovo mezzo televisivo (Bbc, Channel Four), obbligatoriamente teatrale e necessariamente letterario, scespiriano e beatlesiano, irriverente e schizofrenico, il “british film” riconquista la ribalta internazionale con la Renaissance anni 80. Ora la “selezione” di Intercity n.25 è solo un battito d’ali. Un flash di personali fotogrammi. Ma pure in quel setaccio di sei titoli qualcosa emerge e riecheggia delle tante e variegate traiettorie appena ricordate. L’eredità free di If di Anderson che apre e chiude il 68 e la Swinging London. L’insofferenza letteraria di Terence Davis (Voci lontane sempre presenti). L’incontinenza antisistema dei Monty Python (Brian di Nazareth). L’onda 80 multietnica trasgressiva metropolitana di My Beautiful Laundrette di Frears. Il classico mélo rimaneggiato da Pinter e dall’ex angry man Reisz (La donna del tenente francese). Il mito Olivier de Il principe e la ballerina, un modo anche per ricordare Marilyn 50 anni dopo”.

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