Documentario? Video arte? Denuncia? "Leviathan", di Véréna Paravel e Lucien Castaing-Taylor, è un po' tutte queste cose, con una grande prevalenza della ricerca visiva e sonor.
Impariamo, in questi 87' di pure immagini e suoni (in tutto il film verranno dette sì e no quattro o cinque parole), che una semplice battuta di pesca può rivelarsi - giocando sapientemente con il mezzo filmico - una vera epopea: le curatissime immagini - con prospettive spesso distorte e colori esasperati - ci presentano da subito il Leviatano (mostro marino di origine biblica) cui allude il titolo, facendolo emergere con le sembianze di una lunga rete carica di pesce saettante in mare. Il continuo contrasto tra buio/nero della notte, del mare, della nave, e il colore rosso/arancio dei pesci, del sangue, delle divise dei pescatori, aggredisce letteralmente lo spettatore senza lasciarlo indifferente.
Il documentario insiste sui tempi - a volte lenti, altre volte forsennati, ma sempre inesorabilmente ripetitivi - del lavoro svolto su questo tipo di navi, sottolineando i gesti che tagliano, eviscerano, lavano, spezzano, scartano e infine gettano ogni tipo di pescato.
Indimenticabili le riprese dei gabbiani che catturano gli avanzi gettati a mare (in un continuo alternarsi tra immagini/suoni di superficie e immagini/suoni sott'acqua) e la caduta danzante di stelle marine e mitili vari sfuggiti alla rete che trascina in superficie il pesce catturato.
Insopportabile (nel bene e nel male) il rumore incessante e fortissimo che mischia mare, macchine e soprattutto il profondo e ossessivo lamento della bestia...
Un difetto? Pare uno stereotipo il pescatore muscoloso tatuato che ascolta heavy metal; ma se vogliamo immaginarlo come un moderno Cerbero, possiamo interpretare tutta la rappresentazione come uno sguardo sull'inferno...
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