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Note di regia del documentario "Amato Bros."

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Questa storia nasce in Sicilia Orientale, tra i monti Iblei: un luogo in cui l'eros non è erotismo, ma forza fisica che lega tra loro gli elementi; un luogo in cui la tecnica non è delirante sviluppo, ma possibilità che sottrae terreno al caos; un luogo in cui la morte si sconfigge non già ricercando l’ immortalità dei singoli, bensì la perpetuazione della specie. La storia che raccontiamo accade ai giorni nostri, ma potrebbe essere accaduta migliaia di anni fa. L’idea del documentario nasce nel 2006 a Ferrara, la città in cui vivo. Un mio amico di Canicattini Bagni (SR) mi dice: “sai che nel mio paese, ogni tre case c’è uno strumento musicale?”. A me non sfugge quell‘affermazione, che non sembra essere il semplice sfogo di un paesano lontano dalla sua terra. Ed infatti, approfondendo il discorso, viene subito fuori una sorta di “anomalia” musicale del tessuto di Canicattini: la banda fondata nel 1871, la scuola di musica che annovera oltre 150 allievi, il festival internazionale di jazz. E poi c’è l’ Amato Jazz Trio, pregevolissima formazione musicale e storica famiglia di musicanti di banda del paese. Sono loro a trasformare un dammuso buio e umido in jazz club, ospitando a partire dagli anni ’90, sebbene lontanissimi dai circuiti jazzistici che contano, nomi del calibro di Irio de Paula e Marcello Rosa. Nel 2003, però, un drammatico incidente provoca la morte del batterista Sergio interrompendo l’attività del trio. Dopo il lutto la formazione musicale trova in sé la forza per autorigenerarsi: il quarto fratello-mago comico e batterista di gruppi rock- prende il posto di Sergio, permettendo così al trio di rivivere. Giuseppe Di Bernardo

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