"E' una frase fatta, ma sono sinceramente felice ed emozionato di essere qui: esattamente dieci anni fa al Torino Film Festival vincevo il premio per "Latina/Littoria", e tornare qui con un film che è anche un ritorno alla mia città, Latina, è un motivo di ancora maggiore emozione. Quel film arrivava poi a dieci anni da un altro film su Latina, "Piccola America", e quindi c'è una specie di geometria del tempo...".
"Il film ha avuto una gestazione molto difficile, perché a un certo punto l'Italia si stava scoprendo nuclearista. Non è un film di militanza nuclearista, per me il nucleare è un pretesto per raccontare l'Italia di oggi attraverso il territorio, è una cosa che mi appassiona molto".
"Sono cresciuto nella pianura Pontina, terra che è un po' "far west", che rappresenta nel male e nel bene il nostro paese: a Latina si è consumata l'avventura del nucleare, con tutte le sue illusioni, e quello che ne viene fuori è un diario, un viaggio, in cui ho rinunciato in parte alle mie fissazioni sul cinema d'autore. Mi sono messo in mezzo, ho raccontato in prima persona".
"Non possiamo permetterci di fare solo il "bel film", un film deve essere anche specchio del suo tempo: questi tempi così difficili non sono tempi in cui dobbiamo solo piangere, dobbiamo essere coscienti di ciò che abbiamo. Arrabbiarci ma anche interrogare, provocare, che è quello che deve fare il cinema secondo me, e che in Italia ormai fa solo più il genere documentario".
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