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PAOLO E VITTORIO TAVIANI: IL PREMIO PIU' IMPORTANTE

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"Trent'anni fa ero un capo della camorra. Ho fatto degli orfani. Ma ora sono diverso. Ora, da quando ho conosciuto l'arte questa cella mi sembra davvero una prigione". Ipse dixit. Ovvero Cassio (Cosimo Rega) per bocca di Vittorio Taviani che conclude la conferenza stampa con un discorso così umanamente denso da lasciare dentro, una volta di più, l'idea che l'Orso d'Oro sia totalmente meritato. E ancora. "Abbiamo dovuto togliere delle scene dal film, una delle quali era questa. Un detenuto scrive alla moglie dicendole "vieni a vedermi mentre recito, perché quando lo faccio mi sento di potermi perdonare". Quello che voglio dire qui è che siamo entrati in contatto con un'umanità che attraverso l'arte - e solo per tramite di grandi testi questo è possibile - è riuscita a riappropriarsi di ciò che hanno perduto, alcuni in modo radicale, ovvero una dimensione alta e più alta dell'essere umano. Parlare di delitti, tradimenti, congiure, è per questi uomini qualcosa che appartiene loro totalmente per questo sono in grado di recitare quelle parole del Giulio Cesare, perché per loro sono esperienza realmente vissuta, sono la loro vita. Portano dentro alla loro recitazione qualcosa che nessun attore di professione avrebbe". Il significato di una vittoria è dolce, è nuovo anche per due ottantenni che pure hanno già vinto tanto. "Ci sentiamo bene - dice Paolo - ci fa stare bene. E' forse per noi il premio più importante, perché anche per noi è quello più diverso da tutti gli altri, per sceneggiatura, luogo, attori. Volevamo fortemente il film qui a Berlino dove i problemi del mondo affiorano nella qualità dei film mostrati e selezionati dal suo bravissimo direttore. Lo volevamo perché in Italia si deve parlare delle carceri, si deve parlare dei suicidi che avvengono lì dentro, di come le celle siano sovraffollate. Riponiamo fiducia nel nuovo governo e speriamo che se ne parli. Bisogna ricordare che prima di tutto i detenuti sono uomini, umani, anche se hanno colpe terribili. Che per loro uscire dalla condizione di silenzio, di guardatori di soffitti come si definiscono dentro il film è un fatto straordinario e importantissimo". Il film sarà distribuito dalla Sacher di Nanni Moretti e Vittorio racconta un episodio curioso. "E' bello che ci sia quella Vespa che apre il nostro film, simbolo della Sacher di Moretti. Con Nanni abbiamo un'amicizia di lunga data. Lui giovanissimo venne a conoscerci e voleva a tutti i costi farci vedere i super8 che girava. E noi sempre nicchiavamo. Insomma il ragazzo ci piaceva e se non ci fossero piaciuti i suoi film non avremmo saputo come dirglielo. Però insisté davvero tanto che riuscì a portarci in vespa in posti improbabili, lontanissimi, a farci vedere il suo materiale. E ci piacque. Poco dopo volle fare l'aiuto regia in Padre Padrone. Gli dicemmo di no, così fece una piccola parte, gli dicemmo tu sei già un regista anche se non aveva ancora fatto il suo primo lungo. Alla fine delle riprese, due mesi dopo lo vedemmo e gli chiedemmo cosa stesse facendo. Ci disse che aveva fatto il suo primo film. Bello no? Se ripensiamo ora a quella vespa ci rendiamo conto che nella vita avvengono cose belle e profonde".

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