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IL REALE ALLO SPECCHIO - Analizzare il doc

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Allo stato attuale si difende bene il documentario italiano. Almeno dal punto di vista dei numeri. Gli ultimi dati più attendibili (e riportati all’anno 2011) dicono che, nonostante la crisi generalizzata e che colpisce in particolar modo la cultura e le arti, sono state realizzate 519 opere rispetto alle 132 del 2005. Come viene rimarcato ne “Il reale allo specchio” (Marsilio Editore), volume pubblicato per collana dei Quaderni della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro e curato dall’attuale direttore della prestigiosa rassegna marchigiana, Giovanni Spagnoletti, la forte impennata è senza dubbio dovuta alla riduzione dei costi di produzione e, naturalmente, alla possibilità che offre il genere di confrontarsi con un linguaggio più libero, meno portato a sottostare ai parametri del mainstream. Il documentario in questi ultimi anni ha dimostrato di rimanere palestra per eccellenza dove ci si forma al mestiere del regista. Come avveniva in passato per i maestri della grande cinematografia italiana, ancora oggi continuiamo a vedere registi (nati documentaristi ) passare con buoni risultati al terreno della fiction, e a riguardo si possono citare i nomi di Andrea Segre (Io sono Li), Massimo Coppola (Hai paura del buio), Leonardo Di Costanzo (L’intervallo), Pippo Mezzapesa (Il paese delle spose infelici). L’avvento del digitale, inoltre, ha agevolato delle trasformazioni in tutti i comparti delle cinematografia, compreso nel documentario dove, se si ricordano gli eventi di Genova del G8, abbiamo assistito al nascere di un fenomeno - estesosi poi nell’ultimo decennio - di democratizzazione delle immagini poco incline alle misure restrittive che possono imporre le produzioni. Nel documentario italiano contemporaneo le cose non vanno male, ma leggendo i vari saggi del libro di Spagnoletti qualche neo viene comunque galla. Adriano Aprà, decano dei critici italiani che ha diretto per molte edizioni il Nuovo Cinema di Pesaro, sottolinea nel suo breve scritto come esista una scollegamento tra il vecchio e il nuovo. Il documentario italiano - per Aprà - sembra aver prodotto una cesura con le esperienze degli anni cinquanta, “è come se fosse ripartito da zero senza più legami col passato, in una condizione di orfano”. Altro dissapore arriva dal regista ischitano trapiantato a Parigi, Leonardo Di Costanzo, il quale ritiene che certi approcci alle poetiche del reale si sono arenate e, dunque, “la fiction offre più opportunità per raccontare il reale”. Insomma, il dibattito sul documentario italiano è aperto, e ciò è certamente un segnale positivo, ma è bene ribadire che il genere rimane quel cinema meno a misura di intrattenimento e più a misura di pensiero e riflessione. Il cinema documentarista ha da sempre la funzione, la missione di intervenire sulla realtà svelando punti sconosciuti o semplicemente nascosti per cui le immagini del reale possono essere considerate per i loro effetti, le loro illusioni, le loro sorprese, l’urgenza di collocarsi in prossimità di un’idea del nuovo. Completa il volume di Giovanni Spagnoletti un utile (per gli addetti ai lavori) dizionario dei registi (circa un centinaio) che operano prettamente nel campo del documentario o tra il documentario e la fiction.

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