Quattro lungometraggi e un pugno di corti sono bastati a Salvatore Mereu per ritagliarsi uno spazio importante nel panorama del cinema italiano contemporaneo, grazie anche all'ultimo "Bellas Mariposas" presentato con successo a Venezia 2012 e ora prossimo all'uscita in sala in tutta Italia.
Ospite a Torino del festival Sottodiciotto, che ha mostrato tutti i suoi lavori, Mereu si è reso disponibile per un'intervista subito prima dell'incontro ufficiale con il pubblico.
Il suo primo lungo, "Ballo a tre passi", nasce dopo anni di lavoro sui cortometraggi. "Il film - spiega il regista - nasce come estensione del corto "Il Mare". Lo avevo realizzato per l'Istituto Etnografico della Sardegna, che ogni anno organizza un festival a tema: quell'anno il tema erano i bambini, e facendo una ricerca scoprii che alcuni, nell'entroterra (non molti, saranno stati 4-5) non avevano mai visto il mare: mi è parso tanto eccezionale da essere un ottimo spunto da cui partire.
Non ho voluto fare un documentario in senso classico, e ho costruito una storia intorno a questo dato: avevo però poi la difficoltà di arrivare un lungo, e devo dire che sono stato aiutato dalla scelta di aver fatto il corto. I produttori - che erano Gianluca Arcopinto e Andrea Occhipinti - hanno infatti avuto la possibilità di capire che tipo di cinema avevo in testa, e mi hanno così accordato la possibilità di fare il resto. Nell'idea delle diverse stagioni da raccontare ho recuperato anche il soggetto di un altro corto, "Notte rumena", che avevo realizzato come primissima esercitazione al Centro Sperimentale".
Successo di critica e anche piccolo "caso" in sala, ma ci vogliono cinque anni per vedere uscire il secondo film, "Sonetaula". "Da un punto di vista produttivo Sonetaula è certamente il lavoro più ambizioso che ho realizzato, e credo di averlo potuto fare perché "Ballo a tre passi" era andato bene e mi ha dato la forza contrattuale per poterlo fare.
Anziché farne subito uno, a caldo, ho preferito usare il mio credito per cercare di fare questo film tratto dal libro di Giuseppe Fiori, che mi sembrava anche l'occasione migliore per raccontare 30 anni di storia della Sardegna.
Montarlo - produttivamente parlando - è stato molto difficile perché era in costume, abbracciava un ampio periodo storico dell'isola, e lo si è potuto fare anche con una forma un po' anomala: la Rai ci aveva chiesto una fiction in due puntate per la tv, ma abbiamo "usato" quell'occasione per fare il film che avevamo in mente. In sala ha avuto vita difficile, perché dura due ore e mezza, è in sardo coi sottotitoli e non ci sono attori famosi, ma il dvd è ancora molto venduto".
Il lavoro nella scuola (Mereu è insegnante: "Continuo a farlo perché il cinema non mi dà da mangiare", confida) è all'origine di "Tajabone", progetto realizzato insieme agli studenti di un corso di cinema svolto in due scuole superiori della periferia di Cagliari. "Quel film è stato realizzato insieme ad "Asse mediano", un documentario diretto da Michele Mossa che racconta quell'anno di vita nelle scuole di Cagliari.
Insegnavo cinema ai ragazzi, è una cosa che di tanto in tanto faccio, e avevo scelto di farlo per iniziare a prepararmi al film successivo, "Bellas Mariposas", che andavo a realizzare in una città, Cagliari, che conoscevo poco.
Stare un anno in quelle scuole è stato fondamentale: il film è nato per caso, avremmo dovuto semplicemente girare un piccolo corto, poi vedendo le storie dei ragazzi ho iniziato a crederci ed è nato questo piccolo (produttivamente parlando) lavoro, che non era previsto nascesse.
Marco Muller lo ha poi selezionato a Venezia, ma per la durata poco canonica (67') non poteva arrivare in sala e ha viaggiato soprattutto nei festival".
Infine "Bellas Mariposas", tratto da un racconto di Sergio Atzeni, con un netto cambio di stile rispetto ai lavori precedenti. "Viene prima il cosa o il come racconti una storia?", si/ci chiede Mereu. "E' difficile da stabilire. Quella scelta ardita dal punto di vista stilistico c'era anche nel racconto di Atzeni, la storia di una ragazzina che racconta la sua giornata chiamando in causa direttamente il lettore. Questo chiamare in causa ho voluto tenerlo, e per ciò il film è una sorta di finto documentario su questa ragazzina che viene inseguita da un'invisibile troupe cinematografica in una sua giornata.
Io ho spinto ancora di più sull'acceleratore nella dimensione del finto doc, del racconto in diretta che si consuma mentre si fa, perché nel cinema bisogna anche misurarsi col linguaggio senza mai sedersi".
Quattro film tutti sulla Sardegna: una fonte continua di ispirazione. "Non ho mai fatto programmi a lunga scadenza". spiega il regista. "Di volta in volta la cosa che vale di più è l'ultimo film che hai fatto, e da quello si determina quello successivo. Sono poi più le storie che i luoghi a richiamarmi: vivendo in Sardegna mi è più facile raccontare quel mondo, perché l'appartenenza a un luogo è importante, ma non escludo in futuro di fare altre cose. Mi è sempre piaciuto raccontare la mia terra perché è quella che conosco meglio, ma ci potrebbero essere in futuro anche altre occasioni narrative".
Mereu è un po' il capofila di un'interessante generazione di registi sardi. "Se per legame intendiamo l'idea di aderire a una sorta di manifesto, questo no. Conosco i miei colleghi, hanno tutti un approccio al cinema personale, diverso da uno all'altro. Se c'è un tratto comune è la volontà quasi pervicace di raccontare la propria terra, e facendolo anche senza troppi calcoli (spesso si usa la lingua del luogo, anche se fare i film coi sottotitoli in Italia oggi vuol dire alienarsi una parte di pubblico). Ma parlare di "scuola sarda" mi sembrerebbe eccessivo".
Infine, una considerazione su cast - quasi sempre di non professionisti - e temi - sempre con al centro adolescenti. "Contrariamente al teatro, grazie al montaggio e alla frammentazione del lavoro, al cinema possiamo anche scegliere attori non professionisti: il lavoro sul cast per me è molto importante, la preparazione dei film richiede sempre molto tempo per trovare i volti giusti, una scelta che però instrada già il film verso la direzione auspicata.
Anche nella lavorazione faccio a modo mio, quando posso giro in ordine cronologico anche se è un lusso, ma così gli attori possono giorno per giorno entrare nel personaggio, conoscerlo meglio, e io posso più facilmente capire se e come correggere eventualmente il tiro.
Lavoro come insegnante, e stare a contatto coi ragazzi mi aiuta anche a trovare le storie. Non ho programmato di fare film su questo tema, però è vero che me li ritrovo sempre, gli adolescenti, in tutti i film: perché non lo so, certo è che a quell'età il modo di sentire le cose è irripetibile, e per il cinemaè il periodo migliore da raccontare".
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