Affogato nelle sterili polemiche che ne hanno preceduto (e accompagnato) l'uscita in sala per essere una presunta agiografia di un omicida, "Vallanzasca - Gli angeli del male" di Michele Placido rimane - a 12 mesi da questi giorni - un film di grande impatto.
Dominato dalla notevole performance del suo protagonista, un Kim Rossi Stuart trasformato, anche nella voce (molte polemiche inutili anche sul suo milanese...). Una prova d'attore matura, una conferma delle qualità di un attore a volte sottovalutato solo perché bello e qui giustamente premiato (con un Nastro d'Argento).
Placido racconta la vita del bandito della Comasina Renato Vallanzasca, tuttora in carcere con diversi ergastoli sulle spalle, i cui delitti sono ancora caldi nella memoria d'Italia (e solo recentemente il bandito ha espresso i primi sensi di colpa per quanto fatto). Una storia che sa affascinare anche chi non l'ha vissuta in "diretta": sembra inspiegabile (a lui stesso!) l'incredibile fascino che Vallanzasca avesse sulle donne, che arrivavano a riempirlo di lettere e di proposte durante i suoi tanti soggiorni in carcere.
Montato con continui passaggi temporali, tra i primi passi nel crimine con gli amici d'infanzia (il "fratellino" Enzo, interpretato da un Timi forse troppo sopra le righe, sarà la sua gioia e dannazione) e la galera, tra fughe rocambolesche e colpi incredibili, omicidi evitabili e donne ai suoi piedi, "Vallanzasca - Gli angeli del male" è un affresco complesso, raro esempio in Italia di cinema di (questo) genere (chi ha detto "Romanzo criminale"?).
Un cast internazionale (anche se le presenze di Paz Vega e Moritz Bleibtreu sono molto rade sullo schermo, e ci si chiede perché chiamare due attori così noti per parti così limitate - specie quella del tedesco) in cui oltre a Rossi Stuart e Timi si segnalano Lino Guanciale, Valeria Solarino e - soprattutto - un Francesco Scianna in gran forma nella parte del mafioso Turatello.
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