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L'INDUSTRIALE - La crisi. Parole sulle labbra di tutti

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C'è questo tempo istantaneo così denso di paure, di crolli di illusioni e rapporti, di ricostituzione faticosa se non, spesso, impossibile. Ci sono imprenditori che in questo 2012 non sapendo come liberarsi dalla tagliola hanno scelto la fine peggiore per non vederla né sentirla più, la crisi. Sono già 13 quest'anno. C'è un film che tenta di parlare in modo veritiero di cosa accade fuori ma anche "dentro" l'uomo, quale tessuto emotivo si spezzi, quale filo impazzisca, quale interruttore si spenga. Su questo punto hanno molto insistito il regista Giuliano Montaldo e l'attore Pierfrancesco Favino nell'affollata conferenza stampa alla Casa del Cinema per presentare "L'Industriale", film che era passato già al Festival di Roma seppur fuori concorso. "Ogni giorno leggo cose terribili - racconta Montaldo - stamattina leggevo che si sono bruciati 200 miliardi, ma chi è il piromane? Dov'è il fumo? Perché non vengono i pompieri? Una volta la crisi la gestivamo in modo diverso, vorrei quasi dire noi Italia da sola, ma ora qui si propaga a tutti i paesi, a tutto il mondo, indistintamente. Le banche diventano sciacalli e la crisi "morde" qualunque cosa, prima ti contamina il tessuto lavorativo ma poi ti entra in casa, nella tua casa, nella tua famiglia e minaccia tutte le tue relazioni. Questa irruzione improvvisa è fatale per alcuni, dobbiamo pensarci quando facciamo certe scelte. Il vero dramma è la morte dell'amore che ci abita il "dentro" e questo il signor Maglionne (Marchionne ndr) lo deve sapere. C'è un punto nel film in cui un operaio, Saverio, entra in ufficio del titolare e gli racconta del padre o di quando giocavano insieme. Penso che Marchionne non abbia mai giocato con un operaio della Fiat e mi piacerebbe lo facesse". "Faccio l'attore - ha esordito Favino ricordando anche che il suo precedente film "Cosa voglio di più" narrava di difficoltà economiche - e dunque amo portare le storie delle persone e dei personaggi dal buio alla luce, come in questo caso. Se ne parla sempre troppo poco o mai di come la Storia arrivi a colpire prima le tasche e poi la nostra emotività... E' un fatto grave perchè poi, quando se ne parla davvero, è per segnalare il fatto grave, il gesto eclatante, quello dal quale non si torna indietro. Ricordo benissimo che già nel 2008 leggevo di trafiletti di imprenditori che dormivano nelle loro fabbriche magari dismesse o che avevano già deciso di farla finita. A me interessa il punto di vista psicologico, come la crisi inferisca addirittura su che cosa ci si possa permettere e non permettere di provare dentro di sè. E' un fatto terribile e tragico, specie se mettiamo il dito su generazioni giovani, quelle che tra i 18 e i 25 anni sviluppano non solo un carattere lavorativo ma anche uno emotivo legato alla professione. Le conseguenze, se noi non agiamo, si raccolgono dopo e potrebbero essere tremende. E credo che comunque il film abbia anche il merito e il pregio di sottolineare come non sia un ruolo vincente, soprattutto per il genere maschile, quello della aggressività e dell'arroganza che negli ultimi 20 anni ha fatto da modello nella nostra società". Ne usciremo? "Se avessi la ricetta... - dice Favino alla fine - ma non ce l'ho.... ma è importante che queste storie vadano al cinema e se ne parli". "In effetti si è delineato nel nostro paese - continua il regista - un certo qual pudore a parlare di classe operaia e di ergerla a protagonista, a pensarci bene non ci sono molti film che ne parlano. Ne usciremo? Sì, ne usciremo perchè ne siamo sempre usciti, perchè di crisi ne ho viste tante e su questo racconto un fatto che mi sembra interessante. Quando ho iniziato la mia carriera, nel 1950, facendo l'attore, pessimo per la verità, un macchinista romano mi disse 'A Montà ma che voi fa' er cinema? Lassa perdè, er cinema è in crisi!' Ecco, era il 1950 e poi sono venuti grandi film e grandi registi. Credo che sia necessario tornare a fare film di qualità, per fare i miei film di solito dovevo mendicare almeno 3-4 anni. Ponti mi cacciò via quando gli dissi che volevo fare un film su Giordano Bruno, lo stesso accadde per Sacco e Vanzetti, qui invece devo dire che Angelo Barbagallo e RaiCinema sono stati incredibili, mi hanno detto subito sì e non ci potevo credere. Io sono uno che è stato 18 anni senza fare film, perchè dopo Il tempo di uccidere, film che ho sbagliato, ho provato un tale dolore ma un tale dolore che ho dovuto smettere. Sono tornato solo perchè la mia amata Vera (cosceneggiatrice e compagna ndr) mi diceva che di notte gridavo 'motore! azione!' e la svegliavo, così ho dovuto tornare al cinema per lasciarla in pace". Cosa invece abbia spinto Favino ad accettare il ruolo di Nicola, l'industriale, è presto detto, il bagno di servizio di casa Montaldo! "Dunque - narra l'attore - mentre Giuliano mi prepara il caffè quasi come un Clooney nostrano, mi porta verso la toilette secondaria e mi dice 'tu finirai qui' e mi mostra tutta la parete piena di locandine dei suoi film! A quel punto non potevo dire di no, e in ogni caso lavorare con un maestro come lui, che unisce in modo così perfetto leggerezza e serietà, rende il set un momento unico e speciale". Sul banco degli interrogati anche Andrea Purgatori, sceneggiatore del film che ha espresso un suo desiderio "vedere Monti e Passera andare a vedere questo film. Non basta pensare alla crisi o fare manovre, ma avere sguardi più ampi di quelli delle stanze di Palazzo Chigi e riconoscere che il cinema in questo è un veicolo straordinario di narrazione. Infine vorrei ricordare loro che il cinema non è un privilegio ma per molti è anche lavoro". Alla conferenza stampa erano presenti anche Carolina Crescentini, Francesco Scianna, Elena di Cioccio, Elisabetta Piccolomini, Paolo del Brocco di RaiCinema e il produttore Angelo Barbagallo di Bibi Film. "L'industriale" esce in 85 copie venerdì 13 gennaio. RECENSIONE VIDEO

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