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DIARIO DI UN MAESTRO - La scuola di Vittorio De Seta

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Sembra ieri - almeno per chi c’era – eppure lo stacco dall’oggi è di circa quattro decenni. Tanti. E’ il 1973: anno in cui il governo decreta per sei mesi un inutile stato di austerità (tra gli altri provvedimenti cinema e teatri chiudono entro le 23.00, sui palinsesti del piccolo schermo cala il sipario alle 22.45), nascono le prime tv libere nonostante l’opposizione del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni. Nelle domeniche di quell’anno vengono circuitati sulla tv pubblica (ancora in bianco e nero) sceneggiati che vengono visti da non meno di dieci milioni di telespettatori. Passano sul primo canale Rai anche i film-tv “San Michele aveva un gallo” di Paolo e Vittorio Taviani e “Diario di un maestro”, lavoro quest’ultimo in quattro puntate di settanta minuti, firmato dal "maestro dei maestri" Vittorio De Seta (scomparso da pochi mesi) ed interpretato da uno dei più grandi attori italiani del secondo dopoguerra di cinema e teatro, il napoletano Bruno Cirino - che poi morirà prematuramente nel 1981, a soli quarantacinque anni. Un capolavoro di cinema-verità è “Diario di un maestro”, che ha anche una versione cinematografica di 135 minuti recentemente restaurata dalla Cineteca di Bologna, mentre la Feltrinelli, per la collana Real Cinema, ha portato nelle librerie un cofanetto contenente la versione tv in due dvd e il saggio “Il maestro impaziente” curato da Sergio Toffetti, con gli interventi, tra gli altri, di Ascanio Celestini, Gianni Amelio, Gianfranco Pannone, Domenico Starnone, Goffredo Fofi e degli stessi De Seta e Cirino. Tratto dal romanzo “Un anno a Pietralata” del maestro Albino Bernardini, il film ha una storia che si sviluppa nella scuola elementare di una borgata degradata (il Tiburtino) della capitale. Qui al maestro D’Angelo (Bruno Cirino ) viene affidata una quinta di alunni considerati degli scalmanati che in aula si portano tutto il disagio sociale e le difficoltà che vivono nel quotidiano. Una scolaresca difficile, indisciplinata che va punita, emarginata, abbandonata a se stessa ma che, invece, il maestro D’Angelo prende a cuore e la dirige verso una tipologia-altra di istruzione. “Io ho dovuto scegliere tra una scuola aderente alla vita e una scuola aderente a questi libri – dice nel film il maestro D’Angelo – e ho scelto una scuola aderente alla vita”. E così nella disapprovazione del direttore dell’istituto, della vicedirettrice e sotto l’occhio sospettoso dei suoi colleghi il maestro napoletano per i suoi “malestanti” alunni sceglie un modello di scuola fuori dagli stereotipi, che nella sostanza non vuol dire poi rinunciare ad aprire i libri o non utilizzare penna e quaderni. Tutt’altro: in “Diario di un maestro”, non c’è chi impara e chi insegna, chi sta in cattedra e chi sta nei banchi, ma ci sono alunni che mettono a confronto il loro bagaglio di conoscenze e un maestro è che fa da tutor nel loro processo paritario di apprendimento e formazione. Il metodo del maestro D’Angelo segnerà un decisivo cambiamento in positivo tra i suoi ragazzi figli della strada, e il suo impatto sui telespettatori sarà così forte che genererà nella realtà (nelle scuole soprattutto) un animato dibattito tra chi vorrebbe una nuova scuola dell’amore e dell’ascolto, un’istituzione concentrata sulla pedagogia dei Freinet e dei Rosseau, dei Codignola e dei Don Milani e chi ritiene che non bisogna allontanarsi da un insegnamento vecchio stampo basato su senso comune, applicazione dei programmi, direttive mimisteriali, assegnazioni di giudizi e voti. Anche dal versante strettamente filmico “Diario di un maestro” si rivelerà un’esperienza unica, non soltanto perché i sedici bambini protagonisti vivessero realmente nelle borgate di Pietralata e Tiburtino e provenissero da famiglie povere e contesti sociali molto rischio, ma per la linea di demarcazione molto sottile fra tensione documentaristica e fiction, l’utilizzo della macchina da presa a mano, i continui piani sequenza, la recitazione spontanea dei ragazzi, le emozioni della gioia e dell’amarezza che si stagliano, a seconda dei momenti, negli occhi e nel volto-maschera di Bruno Cirino. Un film che più che un trattato di pedagogia o sociologia sulla scuola si presenta in fondo come manifesto di un’esperienza didattica con delle situazioni relazionali e umane di una purezza (e poesia) assoluta. Ancora oggi vedere “Diario di un maestro” fa bene, anche per chiedersi se la scuola pubblica abbia fatto, in quarant’anni, più progressi o passi indietro.

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