"Il lavoro si basa per la gran parte sui materiali d'archivio, che vengono però estrapolati dal contesto originario e riutilizzati, inseriti cioè in questo film per raccontare una storia inventata, come se fossero relativi a questo paese fittizio che si chiama Alos".
"Abbiamo aggiunto poi immagini di un vero paese fantasma, Gairo Vecchio, creando questa sorta di falso documentario: racconta una storia di finzione che però usa il linguaggio e i meccanismi narrativi del cinema documentario".
"Avevo in mente il centro della Sardegna, la parte della regione in cui si viveva - tra fine anni '50 e primi '60, epoca in cui "I morti di Alos" è ambientato - di agricoltura e pastorizia. E' un racconto "falso", ma legato a realtà specifiche del territorio".
"Il mio film parla fondamentalmente dello scontro tra la civiltà pre-esistente e la civiltà dei consumi".
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