Fabrizio Grosoli ha diretto il Bellaria Film Festival dal 2006 al 2009, puntando fortemente sul cinema documentario. Il critico cinematografico ci ha parlato di quell'esperienza.
Sono stato contattato nel 2005 dall'amministrazione comunale che si occupava del festival, perché avevano l'intenzione di creare una svolta rispetto al passato. Il festival aveva già una tradizione ed un'identità mirata al cinema indipendente italiano e la prima riflessione che ho fatto è che la parte migliore e più interessante del cinema votato alla sperimentazione e ai nuovi linguaggi veniva dal doc. Se si guarda la selezione degli anni precedenti alla mia gestione, molti titoli erano già documentari, a dimostrazione che il cinema indipendente andava in quella direzione. C'era una nuova generazione di autori in quegli anni, così abbiamo pensato di realizzare Anteprima Doc senza pensare ad una contrapposizione tra doc e fiction, ma solo a proporre il meglio della produzione senza barriere. Una sezione storica che ho mantenuto era quella del compleanno e il primo anno l'omaggio andò al film d'esordio di Moretti, una serata carina, perché giunsero a Bellaria un grande numero di collaboratori.
Mi interessava molto il riutilizzo dei film di famiglia e professionali, quindi da subito ho iniziato la collaborazione con home movies, inventandomi una sezione a tema. C'erano varie aperture possibili, senza apportare una discontinuità.
Già all'epoca di Ghezzi esisteva una sezione internazionale, io ho cercato di dargli una direzione precisa, verso un cinema che riportava alla luce la tendenza all'autobiografia, al diario, alla volontà dei cineasti di mettere in gioco se stessi. Mi interessava la possibilità che i nuovi mezzi di ripresa e montaggio offrono a chi vuole fare un certo cinema indipendente e solitario, che porta alla luce elementi di sperimentazione totalmente personali.
Ci sono tanti momenti e tante persone che ricordo bene. Da Nanni Moretti, alla banda di Arbore, dallo stesso Morandini che nel 2009 mi venne a trovare in occasione delle riprese per il doc di Tonino Curagi e Anna Gorio alla serata con Rezza che portò una sorta di antologia delle sue cose. Una caratteristica del festival era quella di giocare con persone che avevano fatto della contaminazione dei linguaggi la loro storia.
Anteprima Doc era dedicato a doc italiani dell'ultimo anno in prima nazionale, scelta criticata da parte di cineasti e Doc/it, perchè ritenuta penalizzante, ma che ho voluto con l'idea che ciò che partiva da Bellaria potesse avere una vita.
Il Casa Rossa, prima della mia gestione era basato su addetti ai lavori che segnalavano un film per stagione. Io ho voluto dedicarlo solo al doc, ma non è stato un lavoro facilissimo perché si trattava di identificare chi li aveva visti. Abbiamo così iniziato la collaborazione con Doc/it e credo che costituisse un riconoscimento significato al settore. Dieci titoli scelti tra il meglio della produzione dell'anno. Era un punto di riferimento in quegli anni per il panorama italiano. Già era un riconoscimento essere tra i primi dieci dell'anno. I cineasti erano sempre presenti e c'erano degli incontri stimolanti con la giuria popolare, fatta di studenti di scuole di cinema.
Il premio Avanti, lo accolsi, anche perché aveva l'intenzione dell'inserimento nel circuito. Ho cercato in tutti i modi che i film di Bellaria vivessero nel tempo.
150'' a tema fisso l'ho mantenuto, perché mi sembrava che mancasse un tassello alle varie forme di cinema presentate al festival. Lanciando un bando per film cortissimi, veniva fuori la possibilità in quegli anni di realizzare piccoli film con i cellulari.
Credo che da Bellaria siano passati tutti i talenti di questi ultimi anni, da Rosi a Marcello per citarne due, che sono al di sopra della media. Sono venuti autori giovanissimi e più anziani, che lavoravano in un ambito emarginato. Ci tenevo a far capire che anche il cinema documentario di quegli anni stava prendendo una direzione internazionale, adeguato al meglio di quello che si faceva altrove. Il festival si è scontrato con un pubblico legato al doc televisivo, ed è stata una vicendevole scoperta. Avevamo una presenza storica di addetti ai lavori che rimasero spiazzati dalla mia scelta, e quello di giovani e studenti, che portò un nuovo impulso. Uno dei punti critici del festival è stato quello con il pubblico locale perchè Bellaria è una piccola città che vive di turismo e c'era un certo distacco con la popolazione.
Un festival è giusto che venga ideato da politici ed amministratori, che hanno interessi dal loro punto di vista. La mia polemica non fu tanto politica, ma nacque dal fatto che furono fatte polemiche sulla mia gestione, considerata non popolare, ma che le persone indicate per la mia successione nella gestione artistica ripresero senza cambiamenti. Fu un dolore per me e per tutte le persone che lavoravano con me.
Bellaria ha rappresentato molto per me. Mi affascina la possibilità che un festival ha di far incontrare più mondi. Il cinema indipendente e del reale, nonostante le centinaia di festival, trovava in Bellaria una casa. Ho cercato di dare unità ad un movimento creativo di persone che facevano le cose con passione ed a volte con solitudine. L'attenzione verso questo cinema è partito da Bellaria. Le collaborazioni con Sky e Cult furono una battaglia vera e ho cercato le collaborazioni istituzionali un po' ovunque. A seconda dei casi la partecipazione positiva ci fu dai canali della rete pubblica ai privati.
La cosa che mi dispiace un po' è che ho l'impressione che ci sino tante iniziative verso il doc, ma poche realmente sostenute e che forse ancora manchi una manifestazione sul documentario italiano che sia più autorevole delle altre tanto da riuscire ad essere un punto di riferimento.
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