E' un film che fa riflettere quello di Paolo e Vittorio Taviani. E forse per questo prima che Nanni Moretti lo vide e decise di portarlo in sala, molti altri distributori dissero no. Ma erano altri tempi, era l'autunno scorso e l'Italia era diversa, collassata sotto il peso storico di Drive in e intontita da un anno di commedie di successo. Ora sarebbe diverso. Dopo l'Orso d'Oro a Berlino, dice Paolo Taviani, un signore mi ha chiamato e ha detto di aver appeso il tricolore alla finestra, con orgoglio.
L'aria forse sta cambiando e un film come "Cesare deve Morire", avrà anche il successo di pubblico che merita. Ne abbiamo già parlato al momento della presentazione a Berlino, ma adesso, con l'uscita il 2 marzo, crediamo sia indispensabile valorizzare quest'opera coraggiosa e di qualità, realizzata da chi, grazie a una luminosa carriera, non ha nulla da perdere o da chiedere, aiutato da un'idea interessante e da un gruppo di interpreti di grande maturità.
Quasi tutti reclusi nel carcere di Rebibbia, favoriti dall'attività teatrale di recupero diretta dal regista Fabio Cavalli, gli attori riescono a interpretare il "Giulio Cesare" di William Shakespeare con un impatto che, in una normale compagnia di professionisti, solo il protagonista di nome riesce di solito a dare. Ma infamie, potere, tradimenti e omicidi sono nel collettivo inconscio di un carcere, e dunque gli interpreti riescono a mescolare la propria esperienza personale con il testo e la storia, usando il proprio dialetto d'origine per rendere tutto molto realistico e appassionante.
Paolo e Vittorio Taviani fondono con grande maestria e ritmo storia, dramma e realtà e danno agli interpreti il meritato valore, mettendo in scena, insieme a Fabio Cavalli, un "Giulio Cesare" ricco e personale, che pochi sarebbero oggi in grado di proporre.
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