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Note di regia di "Posti in piedi in paradiso"

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Non riesco a vedere il mio lavoro non attento alla realtà che stiamo vivendo. E spesso la sfida di raccontare alcuni aspetti, tutt’altro che comici di questi ultimi anni, è il tentativo che più mi interessa. Ma credo che l’abilità dello sceneggiatore e del regista sia quello di cogliere “dettagli” e “situazioni” e portarle, con molto tatto e grande equilibrio, nel campo della commedia. Sulla carta il soggetto di “Posti in Piedi in Paradiso” non sembrava molto adatto per una commedia, ma la convivenza “forzata” dei tre, costretti a dividere un modesto appartamento, poteva mettere in risalto le loro differenze caratteriali e quindi a far scattare momenti divertenti nella inevitabile conflittualità dei loro caratteri e delle loro abitudini. La scelta di Pierfrancesco Favino e Marco Giallini (attori che stimo molto) ha reso molto efficace attriti e complicità che si creano tra noi tre. Dove ognuno di noi ha disegnato una precisa tipologia di uomini alle prese con le difficoltà di “padri separati”. Volendo evitare di dare una connotazione troppo “al maschile” del film, con Pasquale Plastino e Maruska Albertazzi, abbiamo pensato che l’ingresso di una figura femminile potesse stemperare questo pericolo. La scelta di Micaela Ramazzotti, che interagisce soprattutto con il mio personaggio, ha portato un tocco di leggerezza, di divertente conflitto ma anche di buon senso femminile. Lei non vive il nostro dramma, ma vive sconfitte su sconfitte sul piano sentimentale, tanto da trovare un po’ di pace, nella sua emotività ed insicurezza, nell’affezionarsi ad un altro “sconfitto”: Ulisse (interpretato da me). Con il quale si apre, si confida. E tra loro non nasce una storia d’amore ma un grande affetto in una solidarietà nel sentirsi alleati nel “disastro”. I figli dei tre avranno un ruolo molto importante. Soprattutto mia figlia e il figlio di Giallini che nel momento del bisogno ci saranno. I figli qui appaiono molto più determinati e maturi dei loro genitori, decisi a non ripercorrere errori e superficialità che hanno vissuto all’interno della loro famiglia. Ed è evidente che il racconto suggerisce un “tifo” manifesto per le nuove generazioni, alle quali affidiamo la rinascita di una dignità ormai smarrita dai loro padri. Più che una macchina da ripresa che si muove, la regia è stata impostata, con il direttore della fotografia Danilo Desideri, spesso sul movimento degli attori stessi davanti ad una macchina fissa. Un’impronta teatrale che ha favorito più i piani a due o a tre, piuttosto che il primo piano stretto. Ma questo è stato suggerito anche dalla perfetta sintonia, nelle azioni e reazioni, che si è formata tra di noi. Non mi resta che augurarmi attenzione da parte del pubblico, al quale ho voluto sinceramente raccontare un’emergenza sociale di oggi attraverso una commedia. Un serio problema che abbiamo voluto rappresentare senza alcuna presunzione, con serietà ma anche con efficace ironia. E la nostra speranza è quella di esserci riusciti. Carlo Verdone

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