Una sera del luglio 2009 mi chiamò Gisella Trincas dicendomi che Casamatta doveva chiudere, non cerano più i presupposti perché la casa potesse restare aperta; inoltre il proprietario le aveva appena comunicato che non avrebbe più rinnovato il contratto daffitto. Di conseguenza anche il nostro progetto cinematografico, che raccontava la storia di Casamatta, probabilmente non aveva più senso. Ricordo che provai una sensazione di profonda amarezza e scoramento. Le dissi che non mi sembrava giusto che una esperienza così importante, durata 15 anni, morisse senza una testimonianza di ciò che era stato fatto. Le chiesi di poter documentare la vita della casa, con la mia telecamera, mi sembrava un atto moralmente doveroso. Si prese 24 ore di tempo e il giorno dopo mi chiamò dicendosi disponibile a questa esperienza. Nella nostra società si tende a nascondere una certa condizione, soprattutto quando si tratta del disagio mentale. Non era semplice consentire ad una persona di entrare con la macchina da presa in una casa per sofferenti psichici e farla vivere con loro, per alcuni mesi, come io le avevo chiesto. Così è stato, così è nato Roba da matti, ed io sono diventato parte della casa e della loro vita, e loro parte di me. Ricordo chiaramente che la sera tornavo a casa stremato dalle riprese ma avevo già nostalgia di Casamatta al punto che certe notti tornavo anche a vivere i silenzi notturni chiacchierando con l operatrice di turno. Vivendo con loro ho capito che, in una società dove i valori tendono a scomparire e lasciano il posto allapparenza e dal tornaconto personale, esistono donne che in silenzio, tutti i giorni, dedicano la loro vita a chi soffre. Queste sono le vere eroine dellItalia di oggi e in questo film, come autore e come uomo, ho avuto il privilegio e lonore di poterlo testimoniare.
Enrico Pitzianti
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