PREMESSA
Il G8 di Genova svoltosi nel luglio 2001 è stato un evento enorme, ha coinvolto i capi di stato di tutto il mondo, ha visto larrivo di centinaia di migliaia di manifestanti anchessi da tutto il mondo, ha visto la presenza di una quantità mai impiegata prima in Italia di forze dellordine. Migliaia di video attivisti, operatori televisivi, video operatori delle forze dellordine, fotografi e registi cinematografici hanno ripreso ogni cosa, ogni momento, ogni assemblea, ogni vetrina infranta, ogni carica della polizia. Nellarchivio del Genoa Legal Forum sono conservate migliaia di ore di riprese video e fotografie. Tutto è stato documentato. Tutto, tranne ciò che è accaduto dentro la scuola Diaz e dentro la caserma di Bolzaneto.
I fatti della Diaz e di Bolzaneto hanno dato luogo a due lunghi e drammatici processi che, mentre scrivo, non sono ancora conclusi. La lettura degli atti (www.processig8.org/) è sconvolgente, toglie letteralmente il sonno e getta unombra sinistra sulla nostra democrazia. E mette in discussione un luogo comune molto radicato, quello secondo cui certe cose possono accadere soltanto sotto regimi politici autoritari. È per questo che ho pensato fin da subito che avrei voluto guardarle in faccia e comprenderle fino in fondo, perché mi riguardano, sono parte della mia vita di cittadino italiano ed europeo.
E vero, un manipolo di cosiddetti Black Block ha devastato negozi e incendiato automobili provocando danni consistenti, ma in virtù di questo presupposto si è deciso che a pagare il prezzo di quelle devastazioni dovessero essere un centinaio di persone non identificate e quindi non automaticamente riconducibili ai devastatori, radunate in una scuola legalmente concessa al Genoa Social Forum, e si è deciso di procedere con metodi che fanno fare un passo indietro di 80 anni alla nostra democrazia. Ma anche supponendo che i presenti fossero stati tutti incalliti Black Block, in base a quali norme si è potuto prendere una simile iniziativa? E in base a quali principi democratici? Per perseguire reati contro le cose, uno Stato ha il diritto di commettere così gravi reati contro le persone? A posteriori mi chiedo anche: non è che per caso Genova 2001 abbia dato inizio ad una crisi sociale e istituzionale profondissima che in un decennio di fantapolitica ha portato lItalia sullorlo del baratro?
IL FILM
Già in fase di sceneggiatura abbiamo cercato di raccontare il senso di spaesamento che tutti coloro che hanno partecipato al G8 ricordano. Sia manifestanti che poliziotti, giornalisti e cittadini casualmente coinvolti negli eventi, una sorta di caos terrificante.
Durante le riprese ho avuto vari momenti di difficoltà realizzando le scene più cruente, perché in quei momenti ho compreso fino in fondo linferno che si è sviluppato dentro quei luoghi. Mi sono chiesto in continuazione: fino a che punto posso spingermi nella rappresentazione di quella violenza? che senso ha questa violenza estrema e da dove viene? che democrazia è quella che mi spoglia, mi violenta, mi priva di identità e di diritti?
Una delle cose che mi ha sempre colpito di più nei racconti delle persone che hanno partecipato a quel G8, è la sensazione di non poter sfuggire al proprio destino, come in un incubo. Questo elemento è filtrato prepotentemente nel film, lho capito mentre giravamo la scena difficilissima in cui Jennifer Ulrich (Alma) era costretta a spogliarsi davanti ai carcerieri. Lei si è voltata e ho letto sul collo un tatuaggio, la scritta: Destiny. La cosa mi ha sorpreso, ho pensato a una decisione di trucco sfuggita al mio controllo e mi è sembrata una didascalia fuori luogo. Invece no, si tratta di un tatuaggio che Jennifer si è fatta chissà quando. Quel tatuaggio ha concretizzato in me unaltra domanda: qual è la misura oltre la quale non siamo più padroni della nostra vita?
Crediti non contrattuali 8
La struttura narrativa del film sollecita queste domande, la circolarità del racconto intorno ad un accadimento marginale della giornata del 21 luglio 2001, di qualche ora precedente allirruzione, cioè il passaggio di un pattuglione della polizia davanti la scuola Diaz, mette contemporaneamente in campo diversi livelli narrativi e sottolinea lassurda ineluttabilità che ha portato agli esiti estremi raccontati nei processi. I diversi livelli narrativi si intrecciano con diversi punti di vista incarnati da alcuni personaggi che si muovono nei luoghi fondamentali della storia, inconsapevoli di ciò che sta per capitare loro. E io con loro mi chiedo cosa stia capitando, perdo ogni certezza, finisco in un labirinto senza via duscita.
GLI ATTORI
Ho scelto gli attori oltre che per la bravura, anche in base al loro coinvolgimento emotivo nel racconto. Avevo bisogno di persone capaci di inventare un personaggio coerente con la storia raccontata, avendo talvolta poche scene a disposizione, pochi gesto, uno sguardo, una battuta. Ho avuto la fortuna di avere attori di grande spessore anche in piccolissime parti e questo ha arricchito enormemente il film. I personaggi sono ispirati ai racconti di persone realmente coinvolte negli eventi, ma fin dalla fase di sceneggiatura ho voluto creare caratteri e figure autonomi, lasciando poi completamente liberi gli attori, liberi anche di imitare qualche caratteristica delle persone reali, carpita magari dai repertori o da incontri che qualcuno ha voluto tenere, ma senza mai dimenticare di far parte di un gioco creativo, non di un tentativo di imitazione del reale. Gli attori hanno condiviso radicalmente questa impostazione e mi hanno regalato la loro enorme libertà espressiva. Il fatto poi che provenissero da varie parti dEuropa, ha fatto sì che sul set si respirasse unaria effettivamente internazionale: tedeschi, francesi, belgi, italiani, spagnoli, rumeni, inglesi e americani tutti insieme esattamente come accadde nel Media Center di Via Battisti.
LA LAVORAZIONE
In Romania abbiamo ricostruito via Battisti, 250 mq di scenografia. Una piccola grande impresa produttiva ed artistica. Vederla crescere durante le settimane di preparazione è stato impressionante: dal nulla di un gigantesco piazzale di cemento alla periferia di Bucarest è venuto su un intero quartiere di Genova!
Le riprese sono state faticosissime ma molto coinvolgenti per tutti. Diaz è un po come un film di guerra, ha avuto bisogno di un grande lavoro di stuntman, effetti speciali, numerose auto di scena e mezzi tecnici abbondanti, una cosa inusuale per la nostra cinematografia.
Per realizzare un film così impegnativo ci vuole certamente un produttore che creda nel progetto fino in fondo, ma crederci non basta: in questo caso Domenico Procacci non si è limitato infatti a fare il produttore, è entrato nella materia del film con tatto e passione, fin dallinizio, facendo con me e Laura Paolucci le ricerche, gli incontri, infinite discussioni sul senso di ogni scena, dando via via un apporto artistico ed umano fondamentale, fino allultima lavorazione.
Daniele Vicari
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