"Ci sono due problemi, almeno per noi, il primo è che non ha un andamento facilmente raccontabile e il secondo è che ci sono troppi punti di vista": è così che gli sceneggiatori di "ACAB" hanno raccontato l'approccio alla trasposizione del libro di Carlo Bonini per il grande schermo.
A leggere quel libro (Romanzo? Saggio? Viene in mente, per trovare un paragone simile, il "Gomorra" di Roberto Saviano...) sembra impossibile che qualcuno possa trarne un film. E invece sullo schermo "ACAB" regge, ed è innegabile che non sia solo l'ispirazione a derivare da quelle pagine, ma qualcosa di più.
Ci sono state delle aggiunte nella pellicola di Stefano Sollima, inevitabile. Ma l'inserimento di un nuovo personaggio (la recluta) diventa a giochi fatti l'unico modo per non perdere (quasi) nulla di quello che è essenziale del libro.
Non ci sono le voci dalla parte degli ultras, vero. Non ci sono i discorsi su Genova e il G8, se non qualche accenno (un po' troppo penitente, forse): vero anche questo. Ma c'è la sensazione di spaesamento del lettore, che rimane a fine lettura - come alla fine dei titoli di coda - senza un'idea precisa di chi siano i buoni e chi i cattivi. Perché non ci sono buoni, essenzialmente.
Ci sono alcuni punti a favore del testo originale, inevitabilmente: le non efficaci - rispetto alle emozioni della pagina, soprattutto - scene di massa e di tafferugli, che nel film risultano proprio sterili, con pochi tifosi a "combattere" invece delle centinaia raccontate. E poi la voglia di aggiungere ha fatto fare qualche errore (c'era bisogno di metterci anche il politico con le sue vane promesse sulle case popolari occupate?).
Il libro è una raccolta di voci diverse, di punti di vista diversi, di racconti slegati tra loro che riescono sullo schermo a trovare un nesso grazie all'occhio esterno (anche se non del tutto) del nuovo arrivato che cerca di capire dove sia.
Un film riuscito che diventa ancora più ammirevole per la sua capacità di dare vita a un libro così insolito e difficile.
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