Ti definisci un'anima divisa in tre, tra cinema teatro e burlesque. Ci puoi spiegare meglio?
Giulia Di Quilio: Mi piace esprimermi attraverso le arti performative. Sono linguaggi molto differenti tra loro, ma hanno la stessa matrice, o meglio, gli stessi strumenti: il corpo, la voce, il movimento e lo sguardo. Con la macchina da presa ho un rapporto un po' speciale, intimo, direi:è un occhio che cattura i moti più invisibili dell'anima.
Nel teatro e nel burlesque, invece, è il pubblico a fare la differenza. Nel burlesque, poi, si ha l'abbattimento della quarta parete: lo spettatore, spesso, decide le sorti dell'evento. E' libero di fischiare, ridere, urlare, svincolato dai limiti imposti dal rigoroso rispetto della platea, e può modificare sensibilmente l'andamento dello show.
Ci puoi parlare della tua esperienza nell'arte del burlesque, prima in un talent nei panni della rossa Vesper ed ora nei teatri italiani?
Giulia Di Quilio: Venendo dal teatro, era logico che portassi il burlesque in quello spazio. Inizialmente è stato grazie a Gino Landi, Maestro dello spettacolo di Varietà in Italia, che mi ha scelta per il ruolo della Sciantosa nello spettacolo Burlesque andato in scena al Salone Margherita di Roma. Poi, vedendo il burlesque relegato quasi solo nel suo ambito specifico, nella sua nicchia, ho avuto l'idea di contaminarlo con la parola, con l'avanspettacolo italiano, con Petrolini, e perché no, anche con Shakespeare.
Da questa idea è nato Club Burlesque Show, scritto insieme al mio compagno: lo mettiamo in scena una volta al mese, in un piccolo teatro romano, l'Elettra, e sta riscuotendo un discreto successo.
La tua esperienza teatrale spazia dal Burlesque a Plauto, cosa rappresenta per te questa arte?
Giulia Di Quilio: Plauto è un autore che si presta molto all'interpretazione burlesque: c'è la beffa, ci sono le donne seduttrici e manipolatrici, c'è il gusto dell'ironia, c'è la finzione e il mascheramento. E del teatro, più di tutto, mi piace il travestimento, attraverso il quale riesco a mostrare me stessa. Cosa che, nella vita reale, per timidezza o per vigliaccheria, non posso o non voglio fare. Sotto gli sfarzosi abiti di scena, dietro la corazza della sicurezza, o della bellezza, si nasconde la mia fragilità. La forza della messa in scena è, infatti, anche l'illusione, come diceva Erasmo: a tenere avvinti gli sguardi degli spettatori è proprio la finzione, il trucco.
Ci parli dei tuoi esordi cinematografici?
Giulia Di Quilio: Io mi diverto sempre a dire che e' stato il cinema a cercare me. Sono stata contattata da Vittorio Moroni per il docu-film Le Ferie di Licu: Vittorio si era appassionato alla storia di Licu, ragazzo Bengalese emigrato in Italia, e, volendo raccontare la sua vita quotidiana a Roma, aveva bisogno di conoscere le persone che Licu frequentava nella Capitale. Io lavoravo come modella nell'azienda di abbigliamento in cui Licu faceva il magazziniere, e spesso mi intrattenevo a parlare con lui. Quindi, nel film, abbiamo riprodotto scene di vita realmente accadute. E io, lì, ho la funzione, di spiegare il rapporto di Licu con la società e con le donne italiane. E' stato semplice, e anche divertente, girare un film low-budget. E mi muovevo in un territorio che conoscevo bene, perché avevo vissuto quei momenti.
L'altra prima, grande, esperienza di set è stata con Tornatore, ne La Sconosciuta. Avevo delle scene da controfigura di Irena (Xenia Rappoport), oltre al ruolo della segretaria e, forse, come si intuisce, amante di Donato Adacher (Pierfrancesco Favino). Quello che mi colpì di più fu la ricostruzione di una situazione completamente artefatta e, allo stesso tempo, molto realistica: un magazzino polveroso, alle cui spalle passava un treno.
Il passaggio del treno comportava un movimento di luce nella stanza, riflesso nello specchio, e le vibrazioni di un cancello, spinto ritmicamente dai macchinisti. Era tutto finto. E tutto vero.
Nella tua carriera hai lavorato con Moroni, Tornatore, Moccia, Oldoini, Bonivento. Ci puoi parlare della tua esperienza con questi registi?
Giulia Di Quilio: Con Vittorio mi lega un'amicizia speciale, mi ha dato la consapevolezza di essere un'attrice, quando ancora non l'avevo.
Giuseppe Tornatore: il mestiere del regista come arte.
Federico Moccia: sicurezza e understatement.
Oldoini: troppo breve il nostro incontro, in realtà nel suo film avevo un ruolo solo fotografico!
Bonivento: carattere forte e idee chiare.
Prossimamente ti vedremo sul grande schermo in "La Grande Bellezza" di Paolo Sorrentino e in "Mi Rifaccio Vivo" di Sergio Rubini. Ci puoi parlare dei tuoi ruoli in questi film?
Giulia Di Quilio: Si tratta di piccoli ruoli. Quello che posso dire, però, sul film di Sorrentino, è che la mia è un'apparizione forte, giocata sui toni della seduzione, in chiave dark.
Con Rubini invece, faccio un personaggio che non era nemmeno in copione, quindi sul set ci siamo divertiti a improvvisare le battute. Comunque, entrambi i registi, hanno una qualità che li accomuna: sono attentissimi ai dettagli, e molto scrupolosi.
Per concludere, quali sono i tuoi prossimi progetti cinematografici e teatrali? Dove ti vedremo?
Giulia Di Quilio: Sto per andare in scena con una commedia di un autore inglese contemporaneo: Derek Benfield, e debutteremo il 5 Febbraio al Teatro Nino Manfredi di Ostia.
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