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SOTTO18 - Sandrine BONNAIRE: "Adoro raccontare"

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All'incontro stampa organizzato dal festival Sottodiciotto di Torino che le dedica, in collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema, un omaggio e una retrospettiva, è arrivata all'ultimo momento da Parigi, il suo aereo ha avuto problemi causa neve. Il tempo di posare le valigie in stanza e di scendere a parlare con i giornalisti, e subito Sandrine Bonnaire - lattina di bibita fresca in mano - si è concessa con semplicità e cortesia alle domande dei giornalisti. "Ho iniziato a recitare giovanissima, avevo 15 anni", ricorda parlando del suo primo lavoro, "Ai nostri amori" di Maurice Pialat che le valse all'esordio un César. "Ero andata al provino per accompagnare mia sorella che aveva letto un annuncio e voleva provare, ma Pialat notò me perché, pur essendo meno drammatica del personaggio che avrei poi interpretato, ero molto simile a quella ragazza come se la era immaginata. Fu quindi una casualità assoluta, io credo molto nel destino ma credo anche che vada aiutato, che gli vada dato ogni tanto un bel calcio nel sedere". Da qualche anno è passata anche alla regia, prima con il documentario "Elle s'appelle Sabine" e ora con il film "J'enrage de son absence". Due lavori molto personali, il primo che racconta la vita di sua sorella Sabine, autistica, il secondo che prende spunto da un episodio della sua vita familiare. "Mia sorella nel primo lavoro è solo lo spunto di partenza, in realtà è un film molto politico, parla delle tante carenze che in Francia si trovano nelle strutture sociali. Nel secondo al centro c'è un uomo che vuole suicidarsi, un atto eroico, per quanto terribile. Il cinema può dare tanti messaggi, e per questo bisogna essere molto attenti quando lo si fa". "Ho lavorato con moltissimi registi importanti nella mia carriera, ma se devo essere sincera non ce n'è uno in particolare da cui ho imparato qualcosa. Sono passata alla regia per una specie di sfida con me stessa, volevo vedere di cosa ero capace: dopo aver lavorato a tante opere prime negli ultimi anni mi sono accorta che avevo tanto da dire e da consigliare, e quindi mi sono ritrovata pronta". Anche come attrice, particolari modelli di riferimento non li ha avuti. "No, perché non pensavo minimamente a fare questo mestiere, mi ci sono ritrovata per caso. Adoravo Brigitte Bardot, per la sua bellezza, la sua libertà e la sua audacia, ma più come ragazza che come attrice. Nel mio lavoro davanti alla macchina da presa non metto mai nulla di personale, devo essere sempre molto distante, quasi come un pittore che osserva l'oggetto che vorrà dipingere: non potrei lavorare in altro modo". Ha dichiarato che potrebbe anche smettere di recitare, ma mai di dirigere e raccontare storie. "Nel mio futuro vedo entrambe le cose, continuerò anche a fare l'attrice ma è vero che non ne sentirei la mancanza. Di dirigere invece non potrei fare a meno: prossimamente ho due progetti in partenza, un film per bambini (ma non di animazione!) e una storia familiare, su tre generazioni di donne legate tra loro. Credo che la famiglia sia molto importante, è da lì che tutti noi veniamo formati: dalla mia ho avuto un'educazione molto semplice e bella, che mi aiuta ancora oggi a tenere un piede ben saldo nella realtà". La disponibilità dimostrata da Sandrine Bonnaire ha portato a fine intervista anche a qualche racconto curioso dal suo passato. "Lavorare con De Palma per "Femme fatale"? E' stata una gran seccatura, avevo solo una piccola parte e l'ho fatta solo per fare un piacere a un amico, Régis Wargnier, che conosceva De Palma e me lo chiese". E poi la figuraccia con Bertolucci. "Mentre giravo "Police" con Gerard Depardieu, una sera a casa telefonò un signore che parlava francese ma con forte accento italiano, che diceva di essere Bernardo Bertolucci e di voler lavorare con me. Mi chiamò più volte, e ci incontrammo anche per parlare del progetto. A fine riprese del film di Pialat, Gerard mi chiese cosa avrei fatto dopo e io, tirandomela molto, dissi che avrei lavorato con Bertolucci. , mi rivelò lui. Morale della favola, cercai a quel punto una sua foto con il mio agente e scoprii che era un impostore quello che mi cercava! Qualche anno dopo ero in sala doppiaggio con Chabrol e gli stavo raccontando questa storia, e chi entrò dove eravamo noi? Proprio Bertolucci! Che vergogna...".

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