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Note di regia di "Vorrei vederti ballare"

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"Vorrei vederti ballare", nasce dal desiderio di raccontare il sentimento umano più immediato e più profondo, ma per questo spesso criptico e irrazionale: l'amore. Il film pretende anche di raccontarlo rendendogli giustizia; si analizza e si scopre una relazione fortissima che si dipana in modo limpido e chiaro; è una vicenda piena di meraviglia, ingenuità e pazzia: pilastri fondamentali delle grandi storie d'amore. Questa storia ha il colore preciso della nostra epoca, è una storia di tenerezza, dove però la crudezza del linguaggio non è che il pudore dei sentimenti. Se si vuole parlare di amore e di famiglia nel 2012, se si vuole inquadrare un tema così universale e dunque vago lo si deve imprigionare, necessariamente, in delle coordinate precise che lo rendano comprensibile e godibile a tutti. E’ stata dunque una necessità inserire la storia d'amore e il rapporto genitori-figli - i due temi portanti del film - in un tessuto di vita vera, in una società-tipo contemporanea, con tutti i suoi problemi, dove assistiamo allo sgretolamento della famiglia, al crollo delle certezze, al male del secolo: quello psicologico. Nel film, infatti, si affrontano, per arrivare al fulcro, temi satelliti, ma non per questo meno importanti: la psicanalisi, l'anoressia, la formazione universitaria in un orizzonte di precarietà; non si voglia vedere, però, nel non-approfondimento di queste tematiche una leggerezza che non sarebbe senz'altro corretta, onesta. Tali tematiche non vengono sviscerate fino in fondo per una fondamentale motivazione narrativa, ossia della tipologia del film: "Vorrei Vederti Ballare" nasce come commedia sentimentale e tale deve rimanere, è con l'amore che deve colpire, tutto il resto serve a dare quel gusto, ormai raro, di vero. Serve, come ho detto, a calare nella realtà, a rendere più facile l'immedesimazione dello spettatore e a non trattare la storia d'amore in modo superficiale e falsamente idilliaco. Queste macchie di realismo, infine, hanno il potere di alimentare un amore autentico, un amore visto come meta e, al contempo, rifugio, di due ventenni dalla vita turbolenta. Un altro nodo fondamentale delle regia e, ancora prima, della sceneggiatura di Giuseppe Fulcheri, è l'ironia. Trattare e immettere l'ironia nella storia era un'ardua impresa: sia per la vastità di tale aspetto, vasto quanto l'Amore, sia per il contrasto -a volte- violento che poteva avere con le difficili situazioni familiari di Martino e Ilaria. Nonostante questo mi è sembrata dall'inizio un'operazione necessaria e grazie all'aiuto di un cast di cui, davvero, non si può che essere fieri, ha aggiunto poesia e non finta teatralità alla storia. A personaggi piatti e stereotipati abbiamo cercato di contrapporre, con un lavoro di ricerca in preparazione e con un grande sforzo artistico degli attori durante le riprese, dei soggetti tridimensionali e "credibilmente anomali": cosa meglio di un ossimoro, infatti, può rendere l'idea di Giusy, la cassiera/attrice-fallita che gestisce un cinema sempre vuoto o di Gastone, l'eccentrico giocatore d'azzardo? La gestazione di questo film è  stata a sua volta una lunghissima storia, l'idea mi è venuta ormai cinque anni fa, poi ci sono state le riprese nell'affascinante Calabria, un luogo trattato quasi sempre (e anche giustamente) dal "punto di vista mafia" ma che, invece, nel mio caso, ha saputo donarmi un'enorme quantità di fascino e affetto. Il film non vuole risultare pretenzioso, ma sembra voler fare -almeno così mi sembra, avendolo visto e rivisto tante volte- della leggerezza il suo valore più alto e dell'eleganza (morale) dei due giovani il suo vanto. Nicola Deorsola

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