"Senzapace" non ha nulla a che fare con il cinema. Con quel cinema che siamo abituati a vedere, che ci aspettiamo di vedere in una sala del centro o in una multisala, oppure in tv dopo qualche anno. No, Fabio Morichini non è più interessato a quel tipo di cinema, fatto di copione, di dialoghi, di attori, costumi e scenografie.
Per lui, per Valerio Pileri e Matteo Sapio autori della sceneggiatura, ma anche per gli interpreti tutti, il "cinema" è solo un supporto per raccontare una storia, per mostrare la vita e un punto di vista su di essa e su gli altri; come la carta per un romanzo, non ha alcun peso sul valore finale, ma è un supporto indispensabile per l'esistenza del libro.
Immagini, suoni, parole che compongono "Senzapace", hanno trovato nel film il modo di incontrarsi creando una storia. Il racconto di un uomo e una donna, del loro amore/odio/indifferenza, dei loro amici, e del quartiere che li ospita, il Pigneto, luogo senza identità, sfondo ideale per personaggi normali in una metropoli sempre più uguale a tutte le altre del mondo.
Morichini non gira dal vero, va oltre. Ricostruisce luoghi qualunque con una sorta di digitale anni 90, muovendo come cartoni animati i suoi attori, Roberta Bizzini, Max Pica e gli altri, con il profilo corroso dal croma key e con la voce fuori sincrono che si mischia ai pensieri a voce alta.
L'operazione di non film è interessante, e spesso divertente, in un panorama cinematografico italiano sempre più piatto e compromesso. Almeno è coraggiosa e diversa e riesce a cogliere e mostrare con acume i luoghi comuni di cui ogni generazione si alimenta.
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