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FdP53 - THE END OF TIME - Alla ricerca del tempo

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Ancora una volta Peter Mettler torna al Festival dei Popoli con un’opera visionaria e fortemente sperimentale. Questa volta il regista svizzero – canadese ci conduce dentro un viaggio nello spazio e nel tempo. La struttura del film, per ammissione dello stesso regista, non è lineare e non segue una sceneggiatura di tipo classico. In "The End of Time" siamo nel campo dell’erranza e della perdita dei riferimenti classici del cinema narrativo. Bisogna lasciarsi andare alla visionarietà e allo splendore delle immagini del film che diventa una vera e propria esperienza di tipo estatico mistica. Il film è una sorta di meditazione in movimento sul concetto filosofico e scientifico del tempo. Si inizia dal CERN di Ginevra dove si studia lo spazio ed il tempo con l’acceleratore di particelle. In questo capitolo prevalgono riprese molto geometriche con una composizione che si concentra su figure circolari e su dettagli tecnologici degli elaboratori elettronici. Un altro episodio si svolge su di un isola delle Hawaii dove rimane solo un abitante che vive in una casa risparmiata miracolosamente dalle continue colate di lava. In questa parte lo stile diventa più pittorico, l’autore si concentra sui dettagli della lava che invade spazi di natura, mangiandoli come un “blob” incandescente e si comincia ad entrare in una osservazione più mistica e materica con un suono naturale che diventa sempre più presente. Si ritorna poi alla civiltà visitando l’abbandono e la povertà dei sobborghi di Detroit dove la crisi dell’industria automobilistica ha portato all’abbandono di interi quartieri prima abitati. Una famiglia ha ricostruito una di queste abitazioni e sembra aver trovato una dimensione di autogestione coltivando l’orto e nutrendosi di verdure. Nella parte di Detroit prevalgono dei carrelli laterali molto lenti, dei piani sequenza sulle abitazioni abbandonate che sembrano degli alveari fatiscenti pieni di graffiti offensivi e volgari. Improvvisamente si prende il volo per l’India dove assistiamo ad una cerimonia funebre indù. Vediamo i volti dei parenti che osservano la salma del parente volatilizzarsi dentro un fuoco purificatore. Il tempo secondo alcune tradizioni religiose non esiste, va fermato, eliminato, il tempo è una distrazione dell’uomo che va curata grazie alla meditazione e all’illuminazione. Splendido il montaggio parallelo tra il funerale indù e le scene delle formiche che divorano la cavalletta morta, un insetto di un verde ipnotico, circondato da uno sciame di operaie divoratrici nere. Pura poesia. Siamo nel campo della mistica e della filosofia indiana e infatti il film diventa ora un vero e proprio trip con musica elettronica e visuals al limite della sopportazione sensoriale. Peter Mettler con l’uso sapiente di armonie profonde e l’utilizzo dei chackras e dei colori corrispondenti sullo schermo arriva al culmine del suo viaggio di meditazione. Lo spettatore in questo momento è in uno stato di rilassamento e di distacco dalla realtà. Nel finale c’è ancora spazio per la visione di un gruppo di nuvole che si muovono in time laps, illuminate dalla luce di un alba giallo ocra. Il viaggio di Peter nel tempo finisce nella cucina di sua madre, lì dove il tempo e la vita dell’autore sono cominciati, il regista parla dolcemente con l’anziana donna, la intervista e le domanda: “Cosa è il tempo?”. Lei dice: “Il tempo, passa, scorre per tutti, e oggi è il giorno della Mamma”. Il tempo è un concetto difficile da visualizzare e da raccontare, Peter Mettler con la sua splendida arte cinematografica è riuscito a darcene una lettura personale e fortissima.

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