Arriva alla sua opera seconda come nuova interprete della storia della sinistra. Dopo "Cosmonauta", viaggio nella sezione del partito comunista anni 60 oltre che nell'adolescenza, Susanna Nicchiarelli giunge a cavallo del 1980, crepuscolo del terrorismo di sinistra e alba di tutt'altra minestra.
Il romanzo di Walter Veltroni, da cui è tratto il film, racconta della personale storia di una "figlia del terrorismo", figlia cioè di una vittima, o presunta tale, di un assassinio della lotta armata. Questa figlia, ormai quarantenne, riesce grazie ad un escamotage tra fantascienza e paranormale a ricollegarsi ai momenti della scomparsa del padre e a comprendere come andarono veramente le cose, capendo che la realtà era ben diversa da quella apparente. Un telefono con il passato che forse è soltanto un mezzo psicanalitico per guardare dentro se stessa.
L'atteggiamento radical chic non aiuta "La Scoperta dell'alba", con alcuni riferimenti alla realtà sociale, come l'assenza di meritocrazia, ormai sviscerati abbondantemente dalla cronaca e dal cinema stesso e che appaiono se non superati quantomeno già visti.
Onestamente la vicenda, a parte qualche passo di sceneggiatura poco approfondito, è interessante e pone almeno una domanda sul periodo degli anni di piombo: tutto andò come sembra?
Anche la soluzione della vicenda personale della protagonista può coinvolgere malgrado la non certo amabilità sua e degli altri personaggi, membri di una Roma borghese di sinistra illuminata, priva di qualsiasi ironia e autocritica, dove l'intelligenza è diffusa ma standardizzata, priva di quei picchi che potrebbero renderla interessante per il cinema, e che crede che basti una giacca di pelle nera e un furgone scassato per essere un "artista".
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