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Tutto Vittorio De Seta - Roma gli dedica una personale

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Per la prima volta a Roma, diciotto schermi e trentatre tra associazioni e istituzioni si mettono insieme per ricordare il grande Maestro Vittorio De Seta, scomparso il 28 novembre scorso nella sua Sellia Marina, paesino in provincia di Catanzaro dove dagli anni '80 si era ritirato a vivere tra le viti e gli ulivi. "Pensate che sulla sua carta d'identità c'era scritto 'agricoltore' - afferma sorridendo la nipote Vera Dragone, che porta il nome della moglie di Vittorio - lui era uno così. Mica scriveva regista, e a quasi 90 anni in campagna inventava ancora, sempre, non solo cinema ma anche macchine per irrigare i campi e fare l'olio". "Del resto mica era uno che viveva di cinema!" - ha chiosato il critico e storico Adriano Aprià - quasi a voler ricordare come sia impossibile, tuttora, avere un carattere schivo, timido ma ostinato, non cedente alle logiche del mercato, un certo genio riconosciuto, e poter campare del proprio mestiere. Purtroppo. Per omaggiare, ricordare e far conoscere a chi non lo ha mai incontrato questo mito del documentario e del cinema si apre sabato la rassegna "Vittorio De Seta – Diari di un maestro di cinema", una vera e propria lezione su questo 'uomo solo al comando', che in anni in cui - per esempio - la presa diretta del suono non esisteva, già girava con tecnici che faceva arrivare da Svizzera e Germania per fare del rumore "vero" anche la verità del suo cinema. Presentando la rassegna all'Apollo 11 di via Conte Verde, tra le aule dove si diplomarono Lucio Battisti e Marcello Mastroianni, si è respirato proprio quel clima che ha fatto di De Seta un uomo incredibilmente aperto alla "visione" e alla realizzazione concreta di opere e film che rimangono pilastri per chi si vuole confrontare con un certo livello di racconto. Ne hanno parlato, tra gli altri, i suoi amici Paolo Luciani, il regista Carlo Lizzani, l'ultima montatrice di De Seta Marzia Mete, il regista Gianfranco Pannone e il geniale e incontenibile Silvano Agosti, l'ultimo partigiano di un certo cinema di "resistenza", proprio come fu Vittorio. "Quando parliamo di cinema indipendente e d'autore - ha detto - penso sempre che l'altro cinema sia dipendente e non d'autore. Dunque, sapendo che ogni dipendenza è tossica, diciamo subito che Hollywood è cancerogena, così come lo è la ricerca sul cancro che da 60 anni alimenta quel 'gelido mostro' che è lo Stato come lo ha definito Nietszche. Ma tutti noi sappiamo che certe cose lo Stato non le vuole e non le può combattere perchè ne trae profitto, dunque, e sto parlando di De Seta, ammiro chi esce da queste perversioni e fa altro. Un giorno Vittorio, sapendo della mia ossessione per una certa ricerca del mistero dell'universo mi disse così 'Guardami, eccolo, ce l'hai davanti". I suoi documentari narrano delle dure condizioni del proletariato del sud, specie quello siciliano e sardo, come i pescatori, i minatori, i pastori della Barbagia cui viene dedicato il film "Isola di Fuoco" che vince a Cannes nel 1955. "Proprio in Francia De Seta era considerato un dio - ricorda Aprià - mentre qui da noi non sapevamo quasi chi fosse. Un giorno Jean Rouch, il padre del documentario francese, mi chiese di lui e mi domandò di metterlo in contatto. Quando lo dissi a Vittorio lui mi rispose "no, meglio di no, sennò sembra che mi dia delle arie", questo per ricordare quanto fosse un uomo timido e quanto questo in fondo gli abbia giocato contro nel corso di tutta la sua carriera. Io rimasi folgorato dal suo film "Banditi a Orgosolo" (una rivelazione che vince l'Opera Prima al Festival di Venezia nel 1961 ndr) e solo grazie a quella visione mi interessai a lui e scoprii che aveva fatto anche dei documentari, cosa di cui non si parlava, nè lui, la prima volta che lo intervistai, lo venne a dire. Interessandomi criticamente poi ai suoi lavori scoprii questa manipolazione sul suono in presa in diretta. In Italia fino agli anni '90 credo, il suono di documentari e film è sempre stato doppiato, anche i film neorealisti sono doppiati. Vittorio invece registrava il suono "vivo" e poi lo rimontava in fase finale, questo unicamente per eliminare il rumore della macchina da presa che all'epoca era fastidiosissimo, ma possiamo dire tranquillamente che fu il primo a inventare una soluzione così geniale. Vorrei infine ricordare due film "Diario di un Maestro" che è un grande capolavoro del cinema italiano rimasto purtroppo invisibile a lungo, ed è un documentario di finzione o una docufiction, parola che non sopporto, ante litteram e "Un uomo a metà" che abbandona il tema sociale e si lancia in quello della psicanalisi", l'unico film chiamiamolo ancora di fiction di Vittorio, film che non so ancora se ho capito, dove si mette a nudo interiormente e che lo ha fatto soffrire tantissimo. Non dimentichiamoci che De Seta ha avuto una carriera difficilissima". Pannone ha infine ricordato l'alto valore "artigianale dei film di De Seta, con lui si sperimentava sempre, si provava sempre qualcosa di nuovo, prima di girare Lettere dal Sahara mi tempestava di telefonate perchè voleva girare in digitale... in lui non c'era mai finzione, ma verità costante nella strada che aveva scelto". "Sono felice di questa iniziativa - ha detto Lizzani - perchè in Italia il documentario continua ad essere un oggetto invisibile e spero che grazie a Vittorio si riaccenda una fiamma che rischia di spegnersi". La nipote Vera ha chiuso ricordando che a Sellia Marina, "nella casa dove è vissuto negli ultimi anni, c'è un archivio immenso di scritti e materiali video, pizze, materiale girato che rischia l'abbandono. Sarebbe bello poter trasformare l'edificio in una casa-museo e per questo avviare il progetto di una Fondazione Vittorio De Seta anche se forse, dato che la Fondazione ha degli obblighi e oneri economici, inizieremo costituendo un'associazione culturale. Naturalmente chi volesse dare una mano è il benvenuto". Il programma della rassegna è intensissimo, si parte sabato 14 gennaio dalla Casa del Cinema per finire mercoledì 1 febbraio al cinema Trevi, passando per vari centri culturali e cinema di Roma. Un omaggio nato dai suoi amici per il dolore della perdita di un amico prima di tutto, di un maestro poi, gestito in modo indipendente, totalmente autoprodotto, ma che ha portato ad un'adesione e a un risultato importante, proprio come sarebbe piaciuto a Vittorio.

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