"Dopo un'accoglienza così, sono pronto a tutto": con queste parole, seguite alla standing ovation con cui il pubblico dello studio lo ha accolto, ha esordito Bernardo Bertolucci, ospite ieri sera di Fabio Fazio su Raitre a "Che tempo che fa".
L'avvio è stato dedicato alla polemica sacrosanta che il regista ha avviato contro le barriere architettoniche di Roma che ha riempito i giornali negli ultimi giorni (Bertolucci da tempo è bloccato su una "sedia elettrica", come la definisce lui). "Roma molto spesso è inaccessibile per chi ha questi problemi", ha detto (ricordiamo, sul tema, la trilogia realizzata da Gil Rossellini tra il 2006 e il 2008 e ironicamente intitolata "Kill Gil", ndr). "La punizione divina per le troppe carrellate fatte in carriera": è così che - anche nel documentario "Sedia elettrica" - Bertolucci definisce la sua attuale condizione.
"Molti dei miei film sono ambientati in luoghi chiusi, e per questo mi hanno chiesto se non mi dia una sensazione di claustrofobia. La mia piuttosto è claustrofilia, perché mi trovo bene negli spazi chiusi e immagino che anche i miei protagonisti - come anche in questo ultimo film - ci si trovino bene".
Che importanza ha avuto suo padre, il poeta Attilio, nella sua formazione? "Quando ho cominciato a leggere, subito ho trovato in casa le sue poesie, sono state le prime cose che ho letto. Ce n'è una dedicata a mia mamma, "La rosa bianca": guardando fisicamente quella "rosa", che era nel giardino, ho iniziato a "vedere" dov'era la poesia. A 6 anni, poi, un giorno mi portarono in ospedale: c'era mia madre in una stanza con accanto un bambino appena nato, era Giuseppe. Mio padre iniziò a saltare e a urlare: "E' nato Giuseppe!", e anche io l'ho imitato, urlando a tutto il mondo la notizia".
"A 13-14 anni ho incontrato per la prima volta il nostro vicino di casa, Pier Paolo Pasolini. Lo presi per un ladro! Venne poi sul set mentre giravamo "Novecento", lui girava "Salò": ci fu anche una partita di calcio tra le due troupe, in cui giocava anche lui, e verso la metà del secondo tempo lui smise di giocare perché nessuno gli passava la palla ed era infastidito".
Nei suoi film tornano spesso protagonisti giovani. "Vero, mi sono chiesto se anche io sia un caso di arrested development, come dicono gli inglesi. Non so, credo di saper raccontare bene quella fase della vita".
"Dopo "Ultimo tango a Parigi" venni condannato e persi il diritto di voto. Me ne accorsi alle prime elezioni, quando non ricevetti il certificato e andai a chiederlo: fu umiliante".
"Sto già lavorando al mio nuovo progetto, che è ancora segretissimo. Posso dire che sarà un kammerspiel, che vuol dire in tedesco teatro da camera, ma un kolossal kammerspiel".
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