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C. Uva: "Il cinema tra pensiero in grande e microvisione"

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Il saggio risale al 2003, ma come dice la stessa autrice nell'introduzione tutto è cambiato ma nulla è cambiato da allora. Concorda? Quali sono le principali differenze che riscontra da allora a oggi? Christian Uva: Il panorama mediale ha certamente subito diverse modifiche dagli inizi del nuovo millennio, e ciò inevitabilmente ha riguardato anche il campo della scrittura e della produzione di contenuti audiovisivi. Basti pensare al fenomeno delle web series oggi ormai dilagante e, dunque, alla nuova specificità di pratiche di scrittura, ma anche di "messa in scena" e di regia, che una simile tipologia di "narrazioni" richiede. Come crede che si modificherà la situazione nei prossimi anni? In che direzione stiamo andando? Christian Uva: Uno dei termini più in voga negli ultimi anni è "rilocazione": espressione riferita da Francesco Casetti alla nuova tipologia di esperienza spettatoriale determinata dalla disseminazione del cinema in contesti altri e attivata proprio dalla diffusione dei nuovi dispositivi di fruizione di contenuti audiovisivi (smartphone, tablet, ecc.). Se da un lato, dunque, si tende a pensare "in grande" (vedi il caso dei sistemi Imax o la recente "ubriacatura" da 3D), dall'altro c'è tutta una tendenza verso la microvisione individuale ma diffusa che sta relegando il "dispositivo" classico del cinema (il sistema sala-proiettore) e della televisione (il "focolare domestico") ad un ruolo marginale. Il volume affronta la situazione USA: e in Italia? Quale il rapporto tra scrittura di cinema e tv, e come è cambiato? Christian Uva: Grazie al successo ottenuto negli ultimi anni dalla fiction si è registrato in Italia uno scambio sempre più frequente di professionalità tra il cinema e la televisione, tanto sul piano degli sceneggiatori, quanto su quello dei registi, degli attori e delle maestranze. Credo che ciò abbia avuto come inevitabile conseguenza una certa "fictionalizzazione" del cinema e, in parte (mi riferisco esclusivamente alle produzioni Sky), una "cinematografizzazione" della fiction. Così, pregi e difetti dei due media si sono trovati ad essere travasati dall'uno all'altro territorio in maniera quanto mai intensa. Come giudicare tale processo? Ai posteri l'ardua sentenza... Prossimi volumi della collana? Christian Uva: La prossima uscita riguarda un volume sul quale puntiamo molto: si tratta di "Fenomenologia del cinepanettone" di Alan O'Leary, studioso irlandese di cinema italiano di fama internazionale molto interessato alla nostra produzione popolare. A tale proposito, riporto in anteprima alcune parole dello stesso O'Leary tratte dal suo testo che forse potranno incuriosire i futuri lettori del volume: "Il tradizionale sospetto in cui il popolare in genere (nel senso di cultura di massa) è tenuto dai circoli più influenti della cultura italiana ha fatto sì che il cinepanettone non venisse pressoché studiato. Allo stesso tempo, però, nelle università estere, inglesi e americane soprattutto (e io appartengo a una di queste), gli Italian Cinema Studies sono rimasti ancorati alla concezione di un cinema nazionale italiano dove per nazionale si intende una sorta di progetto diplomatico da presentare all’estero, e così produrre film di genere e popolari (e anche l’andarli a vedere) viene considerato ancora dannoso e lesivo per la reputazione del cinema italiano. Proprio per questa ragione mi è sembrato che uno studio del cinepanettone, quale genere disprezzato per eccellenza nel cinema popolare italiano, fosse da troppo tempo dovuto e ormai essenziale".

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