L'interessante saggio scritto da Kristin Thompson nel 2003 (a seguito di un seminario risalente al 2001 presso l'Università di Oxford) e pubblicato ora da Rubbettino anche in Italia sembrerebbe necessitare di un profondo aggiornamento. E invece, scrive la stessa autrice nella nota di suo pugno che apre il volume, poco o nulla è cambiato nel mondo della tv e della produzione statunitensi in questi anni, e ciò deve fare riflettere.
O meglio, tanto è cambiato da allora, ma in modo poco sostanziale, più che altro accentuando drasticamente alcuni caratteri già riconoscibili allora: la commistione sempre più stretta tra serialità e film (con questi ultimi sempre più costruiti in serie - Harry Potter, i Pirati dei Caraibi - e a loro volta spezzati in più parti - l'ultimo Twilight, il prossimo Lo Hobbit...); il riuso sempre più spinto delle (stesse) storie, tra cinema, tv, videogame e anche musical (in Italia ancora poco, ma in UK e USA ormai è prassi).
I legami, le dipendenze e le differenze tra queste diverse forme di comunicazione (e il loro mutamento nel corso degli ultimi decenni) sono al centro del saggio della Thompson, che definisce i diversi modi di raccontare, i bisogni e le esigenze dei vari pubblici e molto altro ancora.
Se esiste - leggendo il saggio - la possibilità di definire alcune leggi e alcune chiavi di lettura in qualche modo universali, c'è un autore che sfugge a tutto ciò a cui la studiosa dedica l'intero capitolo conclusivo: David Lynch (ma come "televisione d'arte" oltre al suo Twin Peaks viene analizzato anche "The singing detective").
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