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Note di regia del documentario "Milleunanotte"

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L’idea di Milleunanotte nasce un pomeriggio d’inverno sulle montagne dell’Appennino emiliano, dall’incontro con Ignazio, monaco della comunità religiosa fondata da don Giuseppe Dossetti: la “piccola famiglia dell’ Annunziata”. Ignazio è uno dei tanti volontari impegnati alla Dozza di Bologna, il penitenziario italiano con il maggior numero di detenuti stranieri. Qui, Ignazio tiene incontri sul Corano, insegna arabo ai maghrebini analfabeti, e collabora gomito a gomito, con le associazioni laiche e religiose, che operano all’interno del penitenziario. E così, grazie ai racconti e alle esperienze di Ignazio, è maturata l’idea di girare un documentario alla Dozza. Ho passato sei settimane, filmando i colloqui degli educatori e dei mediatori culturali con i detenuti, la vita di “rotonda e di braccio”, le ore di socialità in cella. Ho filmato al penale e nella sezione giudiziaria, dove si trova chi è in attesa giudizio e dove si concentrano le storie più drammatiche. Spostarsi all’interno di un carcere non è una cosa facile, ogni sezione ha le sue regole. A volte riuscivo a pianificare le cose da fare, altre volte mi capitava di filmare situazioni impreviste e altre volte ancora, ho dovuto rinunciare. Ma nonostante tutto è andata bene, sono stato fortunato, e alla fine sono riuscito a trovare il giusto equilibro tra quello che volevo raccontare e quello che avevo la possibilità di filmare. Insieme ad Alfredo Farina, direttore della fotografia, operatore del documentario e compagno di tante storie importanti che ho raccontato negli ultimi anni, ho cercato di costruire giorno dopo giorno, uno stile di ripresa diretto, coerente e totale, che portasse la vita delle persone che filmavamo, il più possibile al di qua delle sbarre. Il metodo scelto per entrare in contatto con i detenuti e le loro storie è stato quello di seguire l’iter delle “domandine”, ovvero le richieste che inoltrano alle autorità penitenziarie per avere rapporti con l’esterno. Per telefonare, avere un colloquio familiare, parlare con un mediatore culturale, un educatore, un volontario, incontrare l’avvocato, avere un lavoro in sezione come scopino, scrivano, spesino; bisogna prendere carta e penna, scrivere la “domandina” e aspettare di essere convocati. Speranze, desideri, paure, rabbia, tutto passa per una “domandina”. E’ grazie a una di queste che ho conosciuto Agnes. Un incontro imprevisto che ha segnato profondamente il documentario. Nelle ultime settimane di riprese alla Dozza, Agnes ha ottenuto l’autorizzazione dal giudice di sorveglianza per tornare alcuni giorni a casa dai figli e quando il permesso è arrivato, ho deciso di seguirla nel suo viaggio di ritorno a San Pancrazio, il primo paese della Valle dell’ Ultimo in Alto Adige. Un’ultima nota: il titolo del film nasce da un ossessione personale per il tempo. Milleunanotte è l’inizio di una lettera d’amore di una detenuta giunta alla sua mille e una notte in carcere. Marco Santarelli

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