"La Patente" è il lungometraggio d'esordio di Alessandro Palazzi, una commedia le cui vicende ruotano tutte intorno a una sgangherata scuola guida romana, i cui destini - o almeno quelli del suo gestore pro tempore, ex fidanzato della proprietaria - dipendono dal positivo esito dei prossimi esami per la patente.
Film corale, che nasce con l'idea di giocare con lavori precari e stranezze della vita quotidiana, unendo nello stesso luogo chiuso (l'aula delle lezioni e l'auto di prova) personaggi bizzarri (pure troppo, forse) in situazioni al limite.
C'è la cinese che non parla mai e usa le lezioni per fare i suoi (vari) affari, il timido ragazzo innamorato della "bella", che ha sempre le cuffiette alle orecchie, e c'è anche il filippino che non capisce l'italiano ma è costretto dalla padrona a prendere la patente. E poi, ancora, la trans con cui esce il gestore, un ex-cameriere improvvisato insegnante, istruttori di guida agli antipodi (il burino sciupafemmine e l'effeminato precisino), due ex dipendenti in sit-in costante...
La "fauna" umana è varia, ce n'è per tutti i gusti ma l'eccessivo affollamento del cast non permette alla sceneggiatura di realizzare contorni ben definiti a nessuno dei suoi personaggi, meno che mai - il vero peccato - del gestore-protagonista, in crisi con la ex(?), amante del trans e afflitto da dolori di stomaco sottolineati da rumori fuori campo che stonano.
Tanti, troppi siparietti portano avanti il film fino alla sua conclusione, i sospirati esami (la cui risoluzione dopo la lunga attesa è un po' troppo tirata via): un copione più adatto a una sitcom che a un lungometraggio, con siparietti autoconclusi che sembrano attendere solo le finte risate tipiche di questa comicità televisiva.
Si nota la cura con cui le inquadrature sono state costruite (il livello della fotografia è superiore a quella del genere), e anche il livello della recitazione è più che sufficiente: mancano le risate vere e proprie (si sorride un po', ma ci si aspetta di più) e si arriva al finale un po' faticando a causa della costruzione del plot. Peccato, ma qualcosa di buono si intravede: è pur sempre un esordio, no?
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