Un esordio ancora oggi molto discusso, a oltre 20 anni dalla sua lavorazione ("Alien 3"), e una carriera tra altissimi ("Fight Club", "The Social Network") e incompresi ("The Game"?): è David Fincher, regista di culto con un inizio nella pubblicità e nel videoclip, che ha imposto "una personalissima visione critica delle relazioni sociali e del mondo in cui queste si tessono: cupo, angosciante, nichilista e, anche proprio per questo, in anticipo sui tempi".
La "fenomenologia" del regista USA edita da Bietti e curata da Roberto Donati e Marcello Magliani Caputo è costituita da saggi che "ne tracciano, a partire da coordinate chiare e ben definite, la mappa sociale e artistica che, con i suoi alti e i suoi bassi, costituisce la prova più evidente del suo statuto d'autore".
Regista "versatile, duttile, amante di generi e archetipi forti", come lo definiscono i curatori, Fincher viene analizzato da alcuni dei più interessanti critici cinematografici italiani. Da "Labirinti psichici: immedesimazione, disumanizzazione, gioco e voyeurismo", firmato da Francesco Del Grosso, a "Le stanze del panico. Il mondo come complotto" di Roy Menarini, da "Il curioso caso dellautore scomparso" di Daniele Dottorini a "Da Seven a Zodiac: congelare il thriller" di Claudio Bartolini. Tutti i film dell'autore statunitense sono analizzati nel dettaglio.
Il volume è arricchito dalla prefazione di Mario Sesti. "Non è un regista facile da agguantare o racchiudere in uno schema", spiega. "Presenta o troppi spigoli cui aggrapparsi o troppo pochi per non scivolare sulle sue superfici".
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