Red carpet da vera star, quello attraversato da Gael Garcia Bernal ieri sera in Piazza Grande: accolto con entusiasmo da fan calorose e pubblico benevolente, Bernal ha rivelato di amare molto il suo lavoro d'attore, che mai da giovane avrebbe immaginato di intraprendere, in quanto gli consente di conoscere posti, persone e storie che vale la pena di raccontare.
Premiato con l'Excellence Award Möet & Chandon - assegnato agli attori che si sono distinti sulla scena internazionale - l'attore messicano ha presentato il film della serata, "No" di Pablo Larraìn, proprio come "una di quelle storie che forse non tutti sanno ma che vanno raccontate", e in effetti il grande pregio della pellicola risiede nello spunto della trama: sì il Cile, sì il regime di Pinochet, sì il referendum al quale il dittatore è stato obbligato a sottoporsi nel 1988 per continuare a governare, ma soprattutto l'interessantissimo lavoro di ricostruzione della campagna "pubblicitaria" che ha portato alla vittoria del "no".
Larraìn, mantenendo il distacco narrativo che caratterizzava i suoi precedenti lavori "Tony Manero" e "Post Mortem", propone il punto di vista freddo e realista del pubblicitario René Saavedra, che, chiamato a dirigere gli spot televisivi di 15 minuti "concessi" dal governo ai partiti del "no" (uno a settimana per tre settimane...), spiazza tutti proponendo una linea d'azione imprevedibile, e in gran parte non condivisa: il popolo cileno non vuole sentirsi ricordare le tragedie e le ingiustizie legate al regime, vuole sentirsi promettere che sarà felice. Così assistiamo (il materiale d'epoca è originale e, per meglio immergerci nell'atmosfera televisiva di quegli anni, le riprese sono state fatte con una telecamera del 1983) all'accendersi di un arcobaleno (simbolo della campagna referendaria del "no") di balli e canti inneggianti alla felicità, scene agresti e familiari, sorrisi e fiducia nel futuro.
In tutto ciò la violenza, che gran parte ha avuto nei film precedenti, non può avere spazio -programmaticamente - ed è relegata a due o tre scene (si può parlare di Pinochet senza mostrare la sua polizia in azione? Evidentemente no).
Così Larraìn chiude la sua trilogia dedicata al suo paese, che lascia fiducioso sulla soglia del cambiamento.
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