Renato Zucchelli, lultimo pastore della grande metropoli, ha attratto subito la mia attenzione con la forza della sua esistenza e con il suo modo di vivere fiabesco. Quando ho scoperto che si muoveva ancora con il suo gregge tra quartieri residenziali, cementifici, betoniere e palazzi, ho pensato subito che egli potesse rappresentare un mondo in via destinzione, che potesse divenire un simbolo per lOccidente e per la sua corsa inarrestabile verso il progresso.
Renato sembra un orco delle favole giunto da chissà quale tempo. Ha gli occhi dolci, il sorriso gentile, uomo daltri tempi, di altri sentimenti. Questa sua purezza, questa sua innocenza mi hanno ispirato la storia di questo viaggio bizzarro. Mi hanno fatto tornare bambino, proprio come lui.
E così ho scritto una sceneggiatura e dei dialoghi piuttosto precisi, cercando di riflettere sul concetto di libertà nel nostro secolo, creando un personaggio ossessionato dal compimento di una strampalata missione: portare la sua idea di libertà e i suoi sogni alle nuove generazioni.
Comincia così il racconto poetico e stralunato di un pastore metropolitano, che tra finzione e documentario si fa largo come un mio personalissimo Don Chisciotte fra i palazzi e le macchine, i grattacieli e le incomprensioni del progresso. Una fiaba contemporanea, a metà tra il cartoon e il musical, che offre uno sguardo leggero sui limiti della nostra società, smarrita perché ha scambiato il progresso con la felicità. Perché Renato ci dice che il mondo può essere migliore se crediamo nei sogni, se crediamo esista davvero un ultimo pastore
Marco Bonfanti
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