"In tutti i suoi scritti dedicati al cinema Italo Calvino ha sempre diffuso un'immagine di sé come spettatore medio", scrive Vito Santoro nell'apertura del capitolo primo del suo saggio "Calvino e il cinema" edito da Quodlibet.
Medio sì (forse), ma sicuramente appassionato, grande fruitore della sala cinematografica, amico e attento osservatore di alcuni dei migliori talenti del cinema italiano (Fellini, Antonioni,...): il rapporto tra Calvino e la settima arte è quindi un tema di grande valore e interesse, anche perché è innegabile - e il saggio lo spiega bene - l'influenza che le immagini viste sullo schermo esercitarono sull'autore. E c'è poi l'attività degli anni '40 come critico cinematografico, che non è da trascurare.
Sono pochi gli adattamenti ricavati dai suoi lavori, ma importanti, così come i suoi progetti "direttamente" legati al cinema. E Santoro dedica loro l'ultima parte del suo libro, soffermandosi sulla sceneggiatura del "Marco Polo" che diventò "Le città invisibili", sul progetto mai ultimato per "Le fiabe italiane" e molto altro ancora.
Il volume è impreziosito da una prefazione firmata da Pasquale Voza, che inquadra Calvino come scrittore "visivo" - e quindi cinematografico - e che sottolinea in particolare, dal testo di Santoro, le pagine dedicate al rapporto tra lo scrittore e il cinema di Michelangelo Antonio, in particolare "L'Avventura" e "L'Eclisse".
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