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Antonio Bocola e l’Ambrogino d’Oro 2011

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Antonio Bocola ha ricevuto l’Ambrogino d’Oro 2011, la massima onorificenza civica milanese, con la seguente motivazione: “Regista e autore inizia a lavorare nel cinema come aiuto-regista di Marco Bechis. Dal 1997 a oggi firma la regia di numerosi documentari, cortometraggi, programmi TV. Con i suoi lavori ha raccontato la nostra città: dal film “Fame Chimica” con cui ha ottenuto insieme a Paolo Vari la nomination al David di Donatello e ai Nastri d’Argento, fino agli ultimi documentari come “Opera Gagia”, sulla vicenda dei Rom di Opera e “Non ci sto dentro” sui minori reclusi nel carcere Beccaria. Con i propri successi Antonio Bocola rende onore alla Milano capitale dei media e della comunicazione, a una città capace di far crescere nuovi talenti rinnovando una tradizione illustre e consolidata nel cinema italiano”. Lo incontriamo alla proiezione di “Non ci sto dentro” in occasione dell’omaggio al cinema milanese voluto da Antonio Sancassani per festeggiare l’attestato di benemerenza civica conferito al Cinema Mexico. Girato all’interno della l’Istituto Penale Minorile Beccaria di Milano, dà voce a reclusi minori, di età compresa tra quattordici e diciotto anni, e agli operatori che li assistono all’interno dell’istituto o nelle Comunità educative, tra cui Kayros, Comunità Nuova e Arimo. Nessuno racconta il motivo che l’ha condotto in Istituto, i pensieri sono rivolti al futuro e alla vita che li attende quando usciranno. Colpisce la serenità dei ragazzi, la capacità di ironizzare sul presente e , in qualche modo, di sapersi divertire, con la musica e trasmettendo nella radio del carcere. Anche da parte degli educatori c’è un grande senso di responsabilità per una professione in cui mettono il cuore e la passione per aiutarli e sostenerli. Si aspettava l’Ambrogino? E’ stata un’emozione forte, abbastanza difficile da gestire. L’Ambrogino non è il riconoscimento per un concorso, non l’avevo messo in conto, mi è caduto addosso! Dal punto di vista personale lo considero un premio non solo per me e per il mio lavoro ma per quello che rappresento, sono un giovane regista milanese indipendente con all’attivo tanti lavori indipendenti che hanno parlato della città, è quindi un premio alla categoria oltre che alla persona. Perché la scelta di non raccontare il passato dei ragazzi? La cosa più importante è il futuro. Il passato, con la verità giudiziaria e quella oggettiva ormai interessa solo più a loro mentre il futuro è qualcosa che riguarda tutti. Il carcere minorile italiano è uno dei più avanzati al mondo e se funziona è grazie alla precisa idea che ci deve essere il recupero dei giovani, il sistema penale minorile è pensato per dare un futuro. Viviamo in un momento di crisi, a volte l’iniziativa viene lasciata alla buona volontà e all’impegno dei singoli ma con l’occhio verso il futuro. Perché ha voluto raccontare questo aspetto di Milano? E’ uno dei tanti aspetti, Milano è il luogo dove vivo e dove ho ambientato la maggior parte delle mie storie, con l’intenzione è di renderle universali, ma Milano è lo scenario. Più che un luogo geografico è il luogo della mente, ho sempre lavorato su realtà che hanno poca voce e poco spazio sui media. Ho raccontato temi legati all’emarginazione, all’infanzia e ai giovani. Che percorso auspica per il suo lavoro? Questo documentario non è per il grande pubblico o per un mercato preciso, l’argomento è difficile. Vorrei che fosse visto, spero che possa circolare nei festival e nelle rassegne italiane come in un porta a porta.

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