Richiede un po' di pazienza e di voglia di immergersi in un'esperienza "altra", ma ripaga pienamente: "Lagunemine" di Nicola Piovesan racconta la laguna veneziana attraverso tre storie, tre modi diversi di vivere e lavorare in unarea unica e remota, legata a doppio filo con l'acqua.
C'è il pescatore di granchi che tutto il giorno fa avanti e indietro tra la barca e la baracca in cui seleziona il pescato adatto a diventare "moeca fritta" (un piatto tipico in via di estinzione, granchi molli passati in padella). Non c'è un metodo da insegnare per riconoscere quelli giusti, è un "talento" che si impara solo con l'esperienza ma ormai coloro che portano avanti la tradizione sono rimasti sempre meno, e sono sempre più anziani. "Tra vent'anni non esisteremo più", racconta sconsolato.
C'è anche un agricoltore che ha una piccola azienda. Lui ha 84 anni, ormai il grosso del lavoro lo fanno i figli e allora la sua giornata è caratterizzata dall'attesa, su una seggiola, prima di fare la sua parte. Una passeggiata, un giro con la barca, la tranquillità estrema di un luogo fuori dal tempo. "E' piacevole andare ogni tanto in città, dove c'è gente: ma dopo poco voglio tornare qui, al silenzio", confessa.
C'è poi anche chi è tornato a vivere in queste terre, anche a costo di sembrare pazzi ("A me sembra pazzo chi vuole stare nella confusione, oggi tutti vogliono avere ogni cosa a portata di mano!", spiega). Qualche lavoro per tenere sempre perfetta la sua proprietà, ma la sera - quando avanza tempo - si esce in barca per la pesca notturna con la lampada, un'altra tradizione che rischia di sparire.
Ritmo lento, silenzio e natura: "Lagunemine" compie un viaggio lungo un'intera giornata, dall'alba alla notte, e riesce nell'improbo compito di far sentire anche lo spettatore "presente", almeno per i 73' di visione, in quei luoghi e in quelle vite che paiono così innaturali. E che invece sono le più naturali possibili.
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