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"I Morti di Alos" - Strage dimenticata o solo immaginata?

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Prima degli anni '50, Alos era una valle felice, un paesino dell'entroterra sardo dove la vita scorreva lenta e la comunità amava profondamente il proprio umile lavoro e le tradizioni popolari. Poi avvenne qualcosa. La morte si travestì da futuro e nel giro di qualche anno stese la propria gelida mano sopra al villaggio, decretandone la fine. "I Morti di Alos" di Daniele Atzeni è un progetto decisamente originale che mescola antropologia e horror, dando vita ad un mockumentary convincente. Intraprendendo una scelta di matrice letteraria, il regista affida il racconto ad Antonio Gairo, unico superstite di una strage avvenuta nel 1964, che dopo essere stato additato come pazzo, ammette di aver finalmente ricordato i fatti avvenuti e di essere pronto a raccontarli. Atzeni ambienta la sua "Alos" nel borgo abbandonato di Gairo Vecchio e mette in scena, attraverso immagini di repertorio ed effetti "gotici" in postproduzione, la storia di un popolo che troppo rapidamente scelse di abbracciare il boom economico e la tanto sbandierata modernità, abbandonando l'agricoltura e la pastorizia a favore di un posto sicuro in una nuova industria. Un gas velenoso dispersosi nell'aria nottetempo, sarebbe stata la causa della morte di quella gente e della follia dei pochi sopravvissuti. Se alla lunga la presenza della voce fuori campo può risultare invadente, l'esperimento può dirsi riuscito sia sul piano ideologico, uno splendido atto d'accusa verso quei padri che troppo presto decisero di "svendere" se stessi, che cinematografico, spiazzando lo spettatore e mettendone alla prova le certezze.

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