Per Carmelo Bene andare al cinema, vedere i film, significava non vivere. E il cinema, il mettersi dietro (e davanti) la macchina da presa per il geniale e scandaloso Carmelo che cosa voleva dire?
La casa editrice Minimum Fax ha raccolto nel volume Contro il cinema, per la cura di Emiliano Morreale, una quindicina di interviste (qualcuna lunghissima) rilasciate a varie testate da Bene il quale, parlando della sua breve produzione cinematografica, articolata in cinque lungometraggi e quattro corti, tira fuori un fuoco di fila di scoppiettanti definizioni (e teorie), tutte autonome, diverse e contraddittorie.
Nel ricordare che Nostra signora dei turchi (1968), Capricci (1969), Don Giovanni (1971), Salomé (1972) e Un Amleto in meno (1973) sono opere girate in un arco di tempo brevissimo e in cui aleggiano sogni, paradossi, allegorie di una visionarietà non rimandabile ad una ben definibile categoria, è bene aggiungere che arrivarono nelle sale nel momento in cui leccentricità, la ricerca, lavanguardia, leclettismo e la ricerca di Carmelo Bene erano noti anche fuori i confini nazionali.
E lui, essendo ben consapevole di tale notorietà, si scialava a spiazzare e sorprendere chi lo intervistava. Ad Adriano Aprà e Gianni Menon (intervista uscita su un numero di "Cinema & Film del 1970) parlava così: Io sono milioni di contraddizioni
Io contengo in me il regista, lattore, il produttore, il distributore, lo showman, laddetto alle pubbliche relations, tutto.
Un tutto che nel suo confessarsi e discettare quasi lasciava intendere a chi gli poneva le domande di invidiarlo per la fortuna di ascoltare (forse come unica ed eccezionale occasione della vita) quanto di esplosivo usciva dalla sua bocca. Per Carmelo Bene era insensato ed inutile parlare di cinema (a maggior ragione di film politici), però era importante - sempre per stare alle sue parole riuscire a produrre un cinema non stupido e allo stesso tempo fare un cinema che non sia intelligente.
Se un opera cinematografica non deve essere né stupida né intelligente allora quali sono i film da produrre? Potrebbe essere questa la nostra ingenua domanda allattore-regista pugliese di cui questanno ricorrono i dieci anni dalla morte? E lui di rimando avrebbe potuto rispondere che la questione non si pone.
A suo parere il cinema nasce morto, è sempre un aborto, secondo lui se poi uno legge Borges è impossibile che possa rincorrere o cercare unequivalenza di splendore in un film. Contro il cinema si scaraventava la lingua biforcuta di Carmelo Bene perché la settima arte è inesistente, sta solo nella fantasia di qualcuno, è il peggior mezzo espressivo sottomesso al fenomeno della registrazione, è un coacervo di segni definiti e immobili mai aperti. E poi il cinema richiede molta energia per pensarlo e realizzarlo, ma questo dispendio di forze equivale solamente a spreco.
Insomma, per Carmelo Bene nonostante i suoi film passino per dei grandi contenitori di creatività - il cinema è orrore. Una finta arte che bisticcia con il sublime.
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