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IL CANTO DEI NUOVI MIGRANTI - La poesia di Franco Costabile

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Secondo Giorgio Caproni alla poesia di Rocco Scotellaro è stata data l’importanza e l’attenzione che meritava, ma quella di Franco Costabile (sebbene meno conosciuta) aveva una forza ancora maggiore. Anche perché fioriva da una metrica personalissima e contro tutti i canoni e le mode del tempo. Le parole e le immagini (di repertorio) in cui Giorgio Caproni ricorda l’amico e il poeta le ritroviamo ne “Il canto dei nuovi emigranti” che Arturo Lavorato e Felice D’Agostino hanno voluto dedicare a Franco Costabile, morto suicida a Roma nel 1965 a soli quarantun’anni. Il documentario dei due giovani filmaker (anche loro calabresi) ricostruisce la breve (e inquieta) parabola esistenziale del poeta di Sambiase (Lamezia Terme) attraverso la sua stessa poesia e alcune testimonianze di chi ebbe modo di conoscerlo. E per mezzo di una originale idea filmica: un treno in viaggio dalle terre del Sud verso un Nord, verso una città o un posto destinato ad accogliere, probabilmente, nuovi emigranti. Quel viaggio (canto-transito di dolore) che toccò anche a Costabile nel dover lasciare la cara e maledetta terra di Calabria per spostarsi a Messina e, poi, definitivamente a Roma. Ma prima di questo viaggio Costabile ne affrontò in tenera età un altro e più importante. Quello a Tunisi con la madre per riabbracciare il padre che li aveva abbandonati e mai più volle ricongiungersi a loro. Il rifiuto del padre Costabile (“il ragazzo bastardo”) se lo porterà dietro come una ferita, un’angoscia che scaverà in profondità e metterà a dura prova un equilibrio sempre più labile. Nel film il poeta viene ricordato da Caproni (1912-1990) come un “angelo”, per lo scrittore Libero Biagetti “era disarmato di fronte alla prepotenza”, mentre Ungaretti si affezionò a quell’anima giovane e candida in quanto rivedeva in lui il figlio perso prematuramente. Le immagini di Lavorato-D’Agostino vogliono dare voce anche alla poesia di Costabile, le raccolte “Via degli ulivi” (1950) e “La rosa nel bicchiere” (1961) che hanno portato innovazioni e grazia, fluiscono su una metrica scabra ed essenziale che versa pianto per una Calabria della povertà, della disperazione, dagli odori e dai sentimenti cari, dalla terra dura e “infame” che spinge a tradirla (“…ce ne andammo/ senza sentire più il nome Calabria/ il nome della disperazione…). Parlava Franco Costabile alla sua terra alla stregua di come conversava con la madre. Quella madre che porterà a Roma e quando lei morirà aggraverà nel poeta il peso di un’esistenza non conciliata. E così il suicidio non sarà altro che il naturale approdo in una vita perduta per assenza di amore, l’atto ultimo in uno stato di asfissia. Ne “Il canto dei nuovi emigranti” la figura del cantore calabrese risorge e ben si assembla dentro un concerto di suoni e ritmi ottimamente selezionati (Glass, Dissoi Logoi, Mingus, Perri, Ilacqua, ...). Ma dal docu-film si può cogliere l’humus filmico di due giovani registi che faranno sicuramente strada per come sanno ridare freschezza alle immagini d’archivio. Non è un caso se il loro ultimo lavoro, “In attesa dell’avvento”, è stato premiato al Festival di Venezia 2011.

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