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Note di regia de "Il Primo Uomo"

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Ho accettato una sfida ‐ dice Gianni Amelio ‐ senza mai pensare a un confronto, che sarebbe stato impossibile. So che il regista deve considerare il libro a cui si ispira uno stimolo e non un tema da illustrare, ma questa volta era diverso. Il primo uomo non è un romanzo di finzione ma un’opera autobiografica: non si trattava quindi di fedeltà a un testo letterario (questione opinabile) ma del rispetto per la vita di una persona. Inoltre non ho mai considerato Il primo uomo un libro “incompiuto” ma l’espressione piena e coerente del pensiero di Camus, in linea con le sue opere più alte. E solo una lettura superficiale potrebbe immaginarlo come un racconto nostalgico rivolto al passato. Penso invece che Il primo uomo sia un libro politico nel senso più ampio del termine, cioè urgente e profondo, un libro “necessario” nel momento in cui è stato scritto, e non solo. Il primo uomo è l’intervento potente di un grande scrittore sulla tragedia del proprio Paese e del proprio tempo, la confessione che sgombra il campo da ogni sospetto di reticenza e di ambiguità rispetto alla guerra di liberazione algerina, di cui Camus ha faticato a liberarsi. Ma nessuna autobiografia può appassionarci se non tocca in parte anche la nostra vita. Nell’infanzia di Camus ad Algeri ho ritrovato le tracce della mia Calabria nel secondo dopoguerra. A suo padre così ostinatamente cercato si è sovrapposta l’immagine di mio padre lontano e sconosciuto. La nonna e la madre sono diventate le stesse presenze quotidiane di quando ero bambino. E così la sua scuola è diventata la mia scuola, il suo maestro il mio maestro. Non capita spesso a un regista di avere in dono una storia così alta da raccontare. Io ho voluto che diventasse anche la mia storia non per presunzione ma per umiltà. Ho fatto questo film per un atto d’amore. Gianni Amelio

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